Politica / Comune

Levico, perché Arcais si è dimesso? «Non c'era volontà di decidere nulla. E comunque non aspiro a fare il sindaco»

L’ex vice di Beretta vuota il sacco: dalle Terme al Grand Hotel alla Panarotta, alla «figuraccia» del corteo del Barber Day

di Giorgia Cardini

LEVICO TERME. Patrick Arcais, si è dimesso per preparare con calma la sua candidatura a sindaco nel 2025? «No, anche se ho un sacco di progetti in testa e sono pronto a metterli a disposizione di chi vorrà e ci crederà».

Non ha esitazioni, l'ormai ex vicesindaco e assessore alla cultura e istruzione di Levico Terme, ad affrontare una domanda secca come questa.

Dopo l’annuncio, Arcais ha passato la mattinata «a rispondere alle telefonate e messaggi arrivati a ciclo continuo, soprattutto di dispiacere e attestati di stima, anche se sono sicuro di aver deluso qualcuno, perché non ho portato a termine il compito che mi ero assunto nel 2019».

Le dimissioni rassegnate da Arcais sono state un piccolo tsunami che ha svegliato Levico Terme dal torpore tardo primaverile e ha acceso ipotesi tra le più varie. Soprattutto, ha seminato un dubbio: il cofondatore del Patto per Levico, il candidato consigliere più votato nel 2019 nella triade di liste che sosteneva Gianni Beretta, uno degli assessori comunali più attivi, "l'uomo" dell'assessore provinciale Mattia Gottardi a Levico Terme, si accontenterà di stare nel gruppo Misto, fianco a fianco con l'esponente del Pd, Laura Uez? Stando a quello che dice lui, sì.

Arcais, la decisione che ha preso è stata davvero una sorpresa per la sua maggioranza?

«Avevo annunciato alla persona a me più vicina che avrei preso una decisione importante, ma senza anticipare i dettagli. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'ennesima figuraccia che abbiamo sul corteo dei mezzi del "Barber Day", prima ammettendo il passaggio in centro e poi no. Ma è chiaro che ci sono problemi più importanti e strategici per il paese, che ho dettagliato nella lettera (Terme, Polo culturale, Panarotta, rilancio di Vetriolo), per cui nell'ultimo anno ho assistito a una estrema difficoltà ad assumere decisioni impegnative».

Tra questi, anche il destino del Grand Hotel Imperial.

«Su quella questione ho vissuto una situazione che non avrei immaginato di dover affrontare. La dialettica e il confronto sono sacrosanti in maggioranza, ma poi bisogna arrivare a una scelta. Ecco, se fosse stata presa, anche a maggioranza, io sarei rimasto al mio posto».

Come la pensa, sul tema?

«Come gruppo avevamo predisposto un documento favorevole all'alienazione dell'immobile a imprenditori con tutte le carte in regola e a fronte di un piano serio di rilancio. Altri, in maggioranza, non erano di quest'idea: ma si poteva lavorare a una sintesi. Invece non ne siamo stati capaci».

Lei ha detto però anche che la Provincia, sulla questione, "pesta piano".

«So per certo che stanno aspettando una presa di posizione chiara del Comune, per evitare che poi Levico dica un'altra volta: non è questo quello che volevamo».

Il suo gruppo non la seguirà.

«Va bene così, io non mi sono dimesso per guadagnare consensi da spendere più avanti. Anzi, ho chiesto io che restassero tutti dove erano».

Quindi le sue dimissioni vogliono essere un pungolo?

«Spero proprio che lo siano. Ad esempio, per le difficoltà che abbiamo avuto a procedere all'affidamento di lavori, abbiamo dato una parte di colpa alla gestione associata col Comune di Novaledo. Ma quando ne siamo usciti, le cose non sono cambiate».

Serve dare una registrata anche alla macchina burocratica, quindi?

«Sicuramente, ci sono cose che non funzionano».

Lei è un attivo membro della Civica provinciale. Le sue dimissioni avranno conseguenze politiche?

«No, ho parlato stamattina con Gottardi, informandolo su quanto successo, ma non ci saranno riflessi da questo punto di vista».

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