Berlusconi: «Colpa del Pd se cade il governo»
È muro contro muro tra Pd e Pdl e il governo vacilla. A dare fuoco alle polveri è stato ieri mattina Silvio Berlusconi, che ha criticato di nuovo la sentenza Mediaset e ha tentato di scaricare la responsabilità di una sempre più probabile crisi di governo sul Partito Democratico, rivendicando il suo diritto a guidare il partito e ad «essere riferimento per milioni di italiani». Con una metafora Silvio Berlusconi, in un'intervista al settimanale Tempi, ha lanciato l'altolà al governo Letta
È muro contro muro tra Pd e Pdl e il governo vacilla. A dare fuoco alle polveri è stato ieri mattina Silvio Berlusconi, che ha criticato di nuovo la sentenza Mediaset e ha tentato di scaricare la responsabilità di una sempre più probabile crisi di governo sul Partito Democratico, rivendicando il suo diritto a guidare il partito e ad «essere riferimento per milioni di italiani».
Con una metafora Silvio Berlusconi, in un'intervista al settimanale Tempi, ha lanciato l'altolà al governo Letta che, per il Cav, non deve rimanere defilato sul suo caso, ma anzi indicare la linea a tutto il Pd per una agibilità politica che dovrebbe partire già dal voto della Giunta delle elezioni, in settembre. «Se due amici sono in barca e uno dei due butta l'altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda?», ha affermato il leader pregiudicato, scaricando sul Pd e sull'esecutivo la responsabilità di una eventuale crisi al buio.
«Diranno che è colpa mia se i ministri del Pdl valuteranno le dimissioni davanti al massacro giudiziario del loro leader eletto da milioni di italiani», ha aggiunto Berlusconi, dando per ineluttabile l'addio dei suoi ministri con conseguente smottamento della compagine governativa. Il fatto è - ha argomentato - che se si vuole individuare una soluzione politica al caso, «le strade» indicate dal «buon senso e dalla Costituzione sono molte».
Ma sia chiaro - ha tuonato il Cav - che comunque vadano le cose «possono farmi tutto, ma non possono togliermi tre cose: il diritto di parola sulla scena pubblica e civile italiana; il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato; il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani, finché questi lo vorranno».
Poi, dopo aver chiarito che «mia figlia Marina», «una leonessa nelle sue uscite pubbliche di questi mesi» «non scenderà in campo al mio posto» (mettendo fine alla ridda di voci di questi mesi), Berlusconi ha di nuovo accusato la magistratura: «Siamo all'epilogo di quella guerra dei vent'anni che i magistrati di sinistra hanno condotto contro di me, considerato l'ostacolo da eliminare per garantire alla sinistra la presa definitiva del potere».
Senza sfumature la replica del Pd che - compatto - ha rilanciato la palla al mittente, confermando che quello dell'agibilità politica del padrone di Mediaset è un problema tutto interno al Pdl. Durissimo il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini che, dopo aver respinto quelle che ha definito «minacce», ha chiuso seccamente la porta: «Agli ultimatum basta rispondere con un principio molto semplice: non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo», ha scandito confermando la posizione del segretario Guglielmo Epifani. Se il concetto non fosse chiaro, poco dopo il ministro per gli Affari regionali Delrio ha raddoppiato: «Il Pd non potrà che votare la decadenza». Il Pdl, gli ha fatto eco il responsabile organizzativo del Pd Davide Zoggia, la smetta con i ricatti e le indegne furbizie. Non scarichi sul Pd il problema-Berlusconi, condannato con sentenza definitiva». «Si applichi la legge Severino che è chiara e netta», ha decretato anche Rosy Bindi.
In mezzo alle turbolenze, un silente Enrico Letta (che ufficialmente non ha detto una parola neppure sull'incontro-scontro di mecoledì sera con Angelino Alfano) è salito al Quirinale per chiedere il consiglio e il conforto del presidente della Repubblica. Con Giorgio Napolitano ha fatto il punto della situazione, riferendogli della lunga conversazione avuta con Alfano, e ricevendo l'incoraggiamento a proseguire l'azione di governo.
Angelino Alfano invece è volato ad Arcore, per riferire a Berlusconi il contenuto del colloquio con Letta. Il vicepremier ha parlato di «pregiudizio del Pd», cui «il Pdl non chiede un voto a favore di Berlusconi, ma chiede «di non esprimere un voto "contra personam" contro il loro avversario di sempre, contro il loro nemico storico». In questa situazione di stallo, a villa San Martino si continua però a cercare una crepa nella quale penetrare. Forse per questo ieri è tornata in campo l'ipotesi di un'amnistia, evocata dal ministro Mario Mauro (ex Pdl e ora in Scelta civica) come un atto di pacificazione nazionale per salvare l'azione di governo e scongiurare una crisi politica. Ma il Pd ha escluso nettamente anche questa via.
E, dopo l'ennesimo attacco di Berlusconi alla sentenza Mediaset, si è manifestata anche l'ira dell'Anm: «È in atto un linciaggio mediatico» «per neutralizzare la sentenza».