Il premier: «Le minacce non funzionano più»
Per il premier Enrico Letta il dietrofront di Silvio Berlusconi al Senato sul voto di fiducia non cambia nulla nell'operazione «chiarezza» fatta con la «conta» in Parlamento. «La maggioranza ci sarebbe stata comunque», è la mossa con cui il presidente del Consiglio neutralizza il Cavaliere, avvertendo che d'ora in poi il governo lavorerà «con una maggioranza politica coesa», anche se «questa è diversa dalla maggioranza numerica La maggioranza politica coesa (Patruno)La sconfitta di Silvio (Micheletto) I tuoi commenti
ROMA - Per il premier Enrico Letta il dietrofront di Silvio Berlusconi al Senato sul voto di fiducia non cambia nulla nell'operazione «chiarezza» fatta con la «conta» in Parlamento. «La maggioranza ci sarebbe stata comunque», è la mossa con cui il presidente del Consiglio neutralizza il Cavaliere, avvertendo che d'ora in poi il governo lavorerà «con una maggioranza politica coesa», anche se «questa è diversa dalla maggioranza numerica».
Dopo aver accolto al Senato con «è un grande», più sarcastico che elogiativo, l'annuncio dell'ex premier di votare a favore del governo, il premier, nel suo intervento alla Camera, rilancia. Per chiarire che la scelta del Cavaliere non significa che il governo tornerà a ballare tra ultimatum e ricatti. Le minacce ormai sono un'arma spuntata perché «si è dimostrato che tanto il governo non cade». Da ieri c'è «un nuovo patto di governo», necessario perché, è l'allarme lanciato al Senato, «l'Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale».
Enrico Letta parla per tre quarti d'ora al Senato - 47 minuti per l'esattezza - citando, in apertura del suo intervento, il liberale Luigi Einaudi. «Nella vita delle Nazioni l'errore di non saper cogliere l'attimo può essere irreparabile». Un passaggio che il premier usa per andare al cuore del problema: «L'Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no».
«L'Italia non ha bisogno di un governo qualunque - è la consapevolezza del presidente del consiglio - ma di un governo nel pieno delle sue funzioni con una chiara maggioranza che lo sostiene». Il senso del suo governo di servizio, ribadisce dopo 5 mesi di vita, è «dare risposte al paese» e non vivacchiare. Altrimenti «se non siamo in grado di affrontare i problemi, se non ci sono margini, sono io il primo a tirarmi indietro».
Lo strappo di Angelino Alfano, dei ministri e l'implosione del Pdl segna così «un giorno storico» perché si dimostra che il governo «ha una maggioranza politica» e non solo numerica. «Se questa è diversa - è la sfida del premier - dalla maggioranza che mi dà fiducia, lavorerò lo stesso con la maggioranza politica. È essenziale che ci sia chiarezza». E la chiarezza spinge Letta a ribadire, ancora una volta, che sulla decadenza di Berlusconi non si tratta. «Le sentenze si applicano» e i «piani» della vicenda giudiziaria e del governo, «non potevano, né possono essere sovrapposti», ripete due volte, sia quando il Cavaliere voleva votare la sfiducia sia dopo che, rovesciando la decisione, ha deciso per il sì.
Così dopo ieri il governo guarda avanti e punta al «cambio di passo». Nello stile perché gli italiani «non ne possono più di sangue e arena» e nella sostanza dell'azione di governo. Dall'obiettivo di un punto di Pil in più nel 2014 al taglio della spesa pubblica «in modo non lineare», uno degli obiettivi della legge di stabilità che avrà come «cuore» la riduzione delle tasse sul lavoro e del cuneo fiscale. Fino alle riforme istituzionali e del Porcellum, che il presidente del consiglio crede ancora che possano essere approvate con la più larga maggioranza, solo se ognuno rinuncerà ad alzare «la sua bandiera».
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