Renzi scuote il Pd: «Mesi di fallimenti»
Garantisce di «non voler fare le scarpe» a Enrico Letta, nonostante «il consenso del governo sia ai minimi e il mio ai massimi», ma Matteo Renzi rivendica il diritto di critica al governo. E, nella prima direzione Pd sotto la sua guida, lo esercita: «Sulle riforme gli ultimi dieci mesi sono un elenco di fallimenti, ora il Pd si gioca la faccia». Un giudizio che il premier, assente in direzione, non condivide affatto, mentre la sinistra del Pd sfida il leader a uscire «dall'ambiguità» verso il governo
Garantisce di «non voler fare le scarpe» a Enrico Letta, nonostante «il consenso del governo sia ai minimi e il mio ai massimi», ma Matteo Renzi rivendica il diritto di critica al governo. E, nella prima direzione Pd sotto la sua guida, lo esercita: «Sulle riforme gli ultimi dieci mesi sono un elenco di fallimenti, ora il Pd si gioca la faccia». Un giudizio che il premier, assente in direzione, non condivide affatto, mentre la sinistra del Pd sfida il leader a uscire «dall'ambiguità» verso il governo.
Il dibattito in direzione fotografa un asse tra i governativi e la sinistra del partito con il capo della minoranza e presidente Gianni Cuperlo che attacca Renzi perché «davanti al rischio di un logoramento progressivo sarebbe saggio valutare le ragioni non di un rimpasto, ma di una vera e propria ripartenza valutando l'ipotesi di un nuovo governo a guida Letta che il Pd senta davvero suo».
Nella sua relazione, la prima da segretario, Renzi torna a garantire lunga vita al governo e di «non giocare un giochino tutto interno agli intrighi di Palazzo per andare a votare e prendere il posto di Enrico». Ma picchia duro sui risultati. «L'esecutivo - assicura il leader Pd - ha tutto il diritto di andare avanti ma abbia l'intelligenza di proporci non solo correzioni a errori fatti, come sugli insegnanti, sulle slot o il balletto sull'imu, ma di indicare obiettivi». E sulle riforme parla di «abbondanza di ministri ma di scarsi risultati».
Nonostante il bilancio poco lusinghiero, però, il rottamatore continua a non credere che il rimpasto di governo sia la soluzione: «Il governo non ci chieda un rimpastino, uno dei loro per uno dei nostri, perché l'obiettivo è cambiare il sistema» con le riforme e non i ministri. Il leader Pd, insomma, lascia a Letta la palla: «Decida lui sul rimpasto, il rispetto è totale ma sulle singole iniziative ci faremo sentire».
Mentre la direzione è ancora riunita, Letta fa un'analisi con luci e ombre sulla relazione del segretario. Bene la necessità di «un nuovo inizio» nell'azione di governo, ma disaccordo nel giudizio su quanto fatto finora, «in uno dei tempi più complessi e travagliati della nostra storia recente, che questo governo ha dietro le spalle». Di più, in una fase così delicata, il presidente del consiglio non vuole e non può dire perché l'obiettivo di Letta è cercare nei prossimi giorni un'intesa con il segretario Pd.
Intanto, nonostante l'opposizione di una parte del partito, con Silvio Berlusconi Matteo Renzi fa sul serio. Sulla legge elettorale lo incontrerà. Ogni appello degli alleati a considerare prima loro cade nel vuoto. Mentre si fa largo la sensazione negli altri partiti che il lavoro, che prosegue anche in giornata, tra Denis Verdini e il tecnico renziano Roberto D'Alimonte, sia preludio a un'intesa Pd-FI su un sistema che è già stato malignamente ribattezzato «Verdinum» ma assomiglia molto a quello spagnolo.
No al ricatto di Berlusconi per il ritorno al voto. No al «potere di veto dei partitini» sui futuri governi dell'Italia.
Nella trattativa che ha preso in carico in prima persona, Renzi pone paletti ben precisi. Perciò cadono nel vuoto da un lato l'estremo appello congiunto di Ncd e Sc per chiudere un accordo prima nella maggioranza, dall'altro l'appello-provocazione di Beppe Grillo per il voto subito, con la legge proporzionale «scritta» dalla Consulta.
Ai bersaniani del Pd che pensano sia inopportuno che incontri il Cavaliere, il segretario replica che è una polemica «surreale», se con il «pregiudicato si è fatto un governo». E così l'incontro risulta in programma nella sede Pd per domani (quando potrebbe vedere anche Stefania Giannini, di Sc). A Gianni Cuperlo e a coloro che pensano si possa chiudere in via prioritaria un'intesa con Angelino Alfano sul doppio turno, Renzi non solo ricorda che Alfano «un domani starà con Berlusconi», ma anche che l'elemento risolutivo non è il doppio turno (inviso a Berlusconi perché il Pd, è consapevole Renzi, sarebbe «più forte»), bensì un premio di maggioranza (abbinato a collegi uninominali, circoscrizioni piccole o grandi con preferenze) che sottragga per il futuro al «potere di veto dei partitini». In attesa di chiudere gli incontri, Renzi ieri in direzione ha rinviato la scelta del modello elettorale a lunedì, riconvocando la direzione.