Yemen in fiamme, l'Onu: si rischia un'altra Libia
Si intensifica il conflitto interno in Yemen, che rischia di avere riflessi geopolitici gravi. Da un lato, il governo del Paese, a maggioranza islamica sunnita, sostenuto dall’Arabia Saudita; dall’altra i cosiddetti ribelli sciiti Huthi, appoggiati dall’Iran. Riad sta spostando truppe verso il confine yemenita, rispondendo a una richiesta arrivata dagli stessi ambienti vicini al presidente Abed Rabbo Mansur Hadi che in questi momenti, secondo alcune fonti, sarebbe in fuga dal Paese, mentre altre informazioni lo danno al sicuro in un rifugio nella zona della città di Aden, proclamata nuova capitale nel gennaio scorso, quando i guerriglieri sciiti avevano conquistato la sede governativa a Sanaa.
La settimana scorsa un attentato contro moschee sciite a Sanaa aveva provocato 137 morti e 350 feriti.
Oggi tre raid aerei sono stati compiuti contro il palazzo presidenziale ad Aden, dopo che era stata diffusa la notizia della fuga del presidente, mentre forze legate ai ribelli anno preso il controllo dell’aeroporto della città.
Ieri miliziani Huthi hanno aperto il fuoco contro manifestanti ostili alla loro avanzata verso il sud del Paese, secondo quanto riferisce la televisione panaraba Al Jazeera.
Gli incidenti sono avvenuti a Torba, nella provincia di Taiz, gran parte della quale, compreso l’aeroporto, è stata conquistata domenica dagli Huthi. Anche nel capoluogo Taiz, 200 chilometri a Sud della capitale Sanaa, vi sono state manifestazioni e scontri, con un bilancio di decine di feriti, secondo fonti mediche.
Gli Huthi sono scesi lo scorso anno dalla loro regione originaria nel Nord del Paese e hanno conquistato in settembre Sanaa. Da qui hanno continuato ad avanzare verso Aden, nel Sud del Paese, dove appunto ha trovato rifugio il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale, Abed Rabbo Mansur Hadi. Il governo di Hadi ha chiesto ieri ai Paesi arabi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) di intervenire militarmente per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti, e il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, Saud al Faisal, ha detto che Riad e gli altri Paesi dell’organizzazione sono pronti a prendere «le misure necessarie» se una soluzione pacifica non verrà trovata.
Ora l’Onu rilancia l’allarme: senza un dialogo pacifico, lo Yemen potrebbe diventare la nuova Siria o la nuova Libia. A dirlo è l’inviato speciale dell’Onu nel Paese, Jamal Benomar, nel corso della riunione d’urgenza del consiglio di sicurezza per fare il punto della situazione sul caos yemenita. Benomar, intervenendo in videocollegamento dal Qatar, ha messo in guardia sulla «rapida spirale verso il basso che sta portando lo Yemen verso la guerra civile».
Per l’inviato dell’Onu sarebbe illusorio pensare che le milizie Houthi possano prendere il controllo di tutto il Paese, o che il presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi possa mettere insieme un numero sufficiente di truppe per liberarlo. «Gli eventi in Yemen stanno portando il Paese sull’orlo della guerra civile», e «un dialogo pacifico è l’unica opzione che abbiamo», ha precisato Benomar, sottolineando «il timore che al Qaida usi l’instabilità del Paese a suo vantaggio».
Il presidente yemenita da parte sua ha inviato una lettera al consiglio di sicurezza in cui chiede ai Quindici «un intervento urgente» per tentare «in tutti i modi possibili di fermare l’aggressione che sta minando la pace e la stabilità del Paese».
Al termine della riunione, l’organo Onu «ha condannato le azioni unilaterali portate avanti dalle milizie Houthi che minano il processo di transizione politica in Yemen, e mettono in pericolo la sicurezza, la stabilità, la sovranità e l’unità del Paese».
In una dichiarazione presidenziale adottata all’unanimità, hanno espresso «profonda preoccupazione per l’insufficiente attuazione della risoluzione 2201» e ribadito la disponibilità ad «adottare ulteriori misure contro qualsiasi parte in caso di mancata attuazione delle proprie disposizioni».
I Quindici hanno deplorato che gli Houthi non abbiano attuato la richiesta di ritirare le proprie forze dalle istituzioni governative e di normalizzare la situazione della sicurezza nella capitale Sanaa e in altre province. Il consiglio ha poi sostenuto la legittimità del presidente Hadi, invitando tutte le parti e gli Stati membri ad astenersi da qualsiasi azione che mini l’unità, la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese, e ad «accelerare un negoziato inclusivo mediato dalle Nazioni Unite per continuare la transizione politica».