Pensioni, rimborsi in base al reddito
Il deficit 2015 resterà quest’anno al 2,6%, l’obiettivo programmatico indicato nel Def. Non un decimale di più. La soluzione che il governo sta identificando per adeguarsi alla sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni non avrà infatti impatto sugli impegni presi poco meno di un mese fa in materia di conti pubblici nel Documento di economia e finanza. La garanzia assoluta del rispetto dei parametri Ue arriva direttamente da fonti del ministero dell’Economia, dopo che da Bruxelles è trapelata la notizia della possibile messa sotto «monitoraggio» dell’Italia da parte della Commissione.
Nelle prossime raccomandazioni in arrivo mercoledì, l’Europa potrebbe infatti arrivare a condizionare alla soluzione del problema pensioni il via libera all’uso della flessibilità richiesto dall’Italia per attenuare la regola del debito e il percorso di rientro del deficit strutturale. Un’eventualità in cui il governo non vuole in nessun modo incappare. Quello di dover rispettare alla lettera le regole rigide del fiscal compact, senza poter in nessun modo sfruttare le opportunità offerte dalla nuova comunicazione sulla flessibilità, è un rischio che costerebbe troppo, decine di miliardi, e che quindi va assolutamente evitato. Per questo sul deficit non si giocherà ed anche gli altri indicatori dei conti, a partire dal debito, finalmente in calo dall’anno prossimo, non saranno rimessi in discussione. Tradotto in cifre, questo significa però che le risorse per la copertura dell’operazione indicizzazione dovranno essere trovate almeno in parte altrove. Al massimo potrà essere sfruttato il tesoretto da 1,6 miliardi, già previsto proprio nel quadro programmatico. Ma per il resto si dovrà guardare ad altre forme di copertura. Come più volte ribadito da Pier Carlo Padoan, il governo tenterà comunque di minimizzare al massimo l’impatto sui conti pubblici che dovrebbe essere di molto inferiore anche alle ipotesi finora circolate di 4-5 miliardi.
Per questo l'indicizzazione non sarà per tutti e non sarà per tutti uguale. Il decreto per la rivalutazione delle pensioni, che arriverà probabilmente venerdì sul tavolo del consiglio dei ministri, conterrà infatti gli adeguamenti per il passato, ma anche rimodulazioni per il futuro - a quanto pare al ribasso - delle soglie stabilite dal governo Letta nella legge di stabilità 2014. Basandosi sui criteri di progressività e temporaneità messi a fuoco dai giudici, il testo sarà ispirato alla gradualità sia negli arretrati che nei trattamenti a venire. L’obiettivo sarà quello di modulare l’indicizzazione all’inflazione per fasce di reddito pensionistico. Gli assegni più bassi saranno tutelati, probabilmente con la fissazione per la rivalutazione al 100% di un’asticella più alta di quella pari a 3 volte il minimo. Gli assegni più alti rientreranno invece in un decalage progressivo, che arriverà - si ipotizza - all’esclusione totale delle pensioni più cospicue, sulle quali la Corte non avrebbe nulla da eccepire nel caso di eventuali ricorsi futuri. L’idea potrebbe quindi essere quella di rivedere al ribasso anche il meccanismo Letta che ad oggi assicura un adeguamento al 95% per i trattamenti tra 1.500 e 2.000 euro, al 75% tra i 2.000 e i 2.500, al 50% tra i 2.500 e i 3.000 euro e al 45% oltre i 3.000 euro (sei volte il minimo).