Scuola, avanza la riforma. Proteste davanti alla Camera
Nuova giornata di votazioni, oggi, alla Camera dei deputati, sul contestato ddl scuola. Ieri ha avuto il via libera l'articolo della riforma che rafforza il ruolo dei presidi, uno dei nodi maggiormente criticati da chi critica la riforma. Sono state bocciate le modifiche proposte della minoranza Pd. Fuori da Montecitorio sono proseguite le proteste dei sindacati e dei professori che hanno manifestato portando di fronte alla Camea anche una lavagna.
L'aula della Camera, dunque, ha approvato l'articolo che attribuisce ai presidi il potere di chiamata diretta dei docenti dei propri istituti. I voti a favore sono stati 214, i no 100 e gli astenuti 11. Il nuovo art. 9 del ddl, assai modificato rispetto al testo originario del governo, attribuisce ai dirigenti scolastici il potere di conferire ai docenti della scuola l'incarico triennale, che è rinnovabile. La proposta di incarico per la copertura dei posti assegnati alla scuola è rivolta ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento, dopo la candidature presentate dagli stessi docenti. Nel caso di più proposte di incarico, è il docente a dover optare. L'articolo afferma che l'incarico al professore è affidato così da «valorizzare il curriculum, le esperienze e le competenze professionali».
Il preside può effettuare anche colloqui per poter scegliere i professori. Inoltre l'Ufficio scolastico regionale provvede alle assegnazioni dei docenti che non abbiano ricevuto o accettato proposte e, comunque, in caso di inerzia dei dirigenti scolastici.
È anche possibile l'utilizzo di docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali è abilitato purché egli possegga titoli di studio validi per l'insegnamento della materia in questione e abbia seguito dei corsi disciplina da impartire, abbia seguito dei corsi di aggiornamento ed abbia «competenze professionali coerenti».
Un emendamento del Pd approvato per favorire la trasparenza introduce l'obbligo di mettere on line sul sito della scuola il curriculum dei professori. Un altro emendamento di M5s stabilisce che non ci può essere parentela tra preside e professore della scuola. Il preside utilizzerà ancora i docenti dell'organico dell'autonomia per la copertura delle supplenze fino a 10 giorni. Inoltre egli può individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10% di docenti (anziché fino a 3 docenti, come previsto dal ddl), che lo coadiuvano. Infine il preside può ridurre il numero di alunni e di studenti per classe rispetto a quanto previsto dalla riforma Gelmini, «allo scopo di migliorare la qualità didattica».
Respinto l'emendamento della minoranza del Pd (a prima firma di Stefano Fassina) che abrogava il potere dei presidi di chiamata diretta dei docenti. Contro l'emendamento Fassina hanno votato in 276 e a favore 84. A sostegno dell'emendamento si sono dichiarati Sel e M5s, contro tutti i gruppi di maggioranza e Fi.
Dopo i primi sì alla riforma della scuola in Aula i Cobas hanno indetto due giorni di blocco degli scrutini e di tutte le attività scolastiche. Stop per due giorni consecutivi successivi alla fine delle lezioni con l'auspicio che l'azione di lotta riceva l'adesione anche degli altri sindacati del settore. I Cobas hanno anche programmato per il 7 giugno una manifestazione nazionale contro la riforma «Buona scuola» del governo. Le due giornate di blocco delle attività variano da regione a regione a seconda del termine delle lezioni.
In piazza, invece, prof e sindacati - con in tasca un'altra idea di riforma - chiedono modifiche. E qualche parlamentare, che cerca il dialogo, viene contestato. Il punto di incontro è ancora lontano, dunque. Quel muro contro muro, scongiurato persiste.
Anche Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda manifestano davanti a Montecitorio. E la stessa Flc Cgil rivendica il diritto di sciopero, anche nel periodo degli scrutini. Non piacciono dunque le parole del presidente dell'autorità sugli scioperi, Roberto Alesse che parla di illegittimità di un eventuale blocco e paventa sanzioni e precettazione dei docenti.
«Combatteremo emendamento su emendamento», insiste la minoranza Pd, che vede particolarmente attivo sul fronte della scuola uno dei leader del dissenso antirenziano, Stefano Fassina, a sua volta professore. A Montecitorio la sinistra Pd ha presentato una serie di emendamenti. Non tantissimi - una decina - ma ben mirati. Su tre punti in particolare: i precari, con la proposta di un piano pluriennale di assunzioni; quello già bocciato contro i superpoteri del preside; il sistema di finanziamenti privati e di perequazione delle risorse tra le scuole.
Si dà battaglia con la consapevolezza che a Montecitorio, dove i numeri del governo sono amplissimi, difficilmente si riuscirà ad incidere. E se c'è chi, come Fassina, in dissenso sulla riforma della scuola potrebbe annunciare il suo addio al Pd, la battaglia della minoranza è già proiettata sul passaggio a palazzo Madama, dove proveranno a incidere i 22 senatori che sostennero il documento di Miguel Gotor e non votarono l'Italicum. «C'è da parte nostra grande preoccupazione e attenzione: presenteremo di sicuro emendamenti», annuncia Federico Fornaro. E nei prossimi giorni, spiegano i bersaniani a palazzo Madama, l'area del dissenso inizierà a farsi sentire.
Ma già Corradino Mineo annuncia una battaglia per inserire subito in un decreto l'assunzione dei centomila precari e rallentare la riforma, per riscriverne il testo. Èsingolare la parabola di Mineo: fu sostituito dalla commissione Affari costituzionali perché si rifiutava di votare le riforme e fu spostato in commissione Cultura. Ora in commissione Cultura, con il civatiano Walter Tocci e il bersaniano Claudio Martini, si ritrova a essere di nuovo determinante per il governo sulla scuola (la maggioranza ha 13 voti, contro 12 dell'opposizione). E non esclude niente: «Per ora di sostituirmi non si parla, ma questa volta il tema è percepito in modo diverso dall'opinione pubblica...».
Se il governo alla fine decidesse di mettere la fiducia («Non è all'ordine del giorno», ha detto però Renzi) quasi tutti I dissidenti della minoranza la voterebbero: l'intento non è far cadere il governo, assicurano, ma far passare modifiche sostanziali. Di sicuro, però, la scuola sarà un banco di prova, in vista delle prossime battaglie sulle riforme.