Almeno trecento feriti al confine serbo-ungherese
Almeno trecento persone sono rimaste ferite oggi negli scontri al confine tra Serbia e Ungheria di Horgos. Secondo fonti mediche la metà ha riportato conseguenze per il lancio dei lacrimogeni mentre un’altra metà ha riportato ferite da taglio. Tra i feriti anche venti poliziotti ungheresi.
E mentre gli immigrati vengono fermati dall’Ungheria con la forza davanti al filo spinato, Germania e Austria rafforzano i controlli alle frontiere e una nuova marea umana devia verso la Croazia, fra Roma e Bruxelles si apre il caso degli hotspot, i centri dove si effettua la prima registrazione dei migranti.
«Gli esperti di Easo, Frontex, Eurojust ed Europol sono in Italia e gli hotspot stanno iniziando a funzionare, quindi i ricollocamenti si potranno fare da inizio ottobre», fa sapere la commissione da Bruxelles in mattinata quasi rispondendo alla secca richiesta della cancelliera Angela Merkel che ieri aveva intimato a Grecia e Italia di accelerare.
Ma le cose non sono così semplici. La linea italiana, dopo il deludente vertice dei ministri degli Interni della Ue, è più articolata e il Governo non nasconde che vuole evitare il rischio di rimanere con il cerino in mano pretendendo contemporaneità tra la creazione degli hotspot, la ricollocazione dei profughi e i rimpatri di chi non ha diritto a restare, come ha spiegato il ministro dell’Interno Angelino Alfano.
In assenza di un accordo complessivo «a 28» che sembra ancora molto lontano non si capisce perchè proprio Italia e Grecia debbano fare fughe in avanti.
La conferma delle perplessità italiane viene poco dopo dal presidente Sergio Mattarella che si trova proprio a Vienna, capitale di uno dei Paesi più al centro della tempesta rifugiati. Gli hotspot da soli non bastano, spiega con chiarezza al termine della visita in Austria: «Serve una risposta comune e complessiva dell’Unione che riguardi la politica di respingimento in tutti i suoi aspetti e i vari tipi di interventi, dal salvataggio delle vite umane agli hotspot, dai rimpatri alle quote di accoglienza».
Niente fughe in avanti quindi, perché «occorre - spiega il capo dello Stato dando voce alla linea di politica estera del governo - una politica dell’Unione, una gestione complessiva del problema, perchè è solo in questo modo che si può avere una risposta efficace» all’emergenza migranti che sta investendo l’Europa. E sui centri di registrazione si può cogliere l’unica dissonanza esistente tra Italia ed Austria in queste ore.
La politica europea è nel caos e la Merkel si sta sgolando nel chiedere un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo che possa prendere una decisione politica forte - magari con pesanti sanzioni a chi non collabora - mentre i Paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia) resistono a ogni ipotesi di ricollocazione dei richiedenti asilo. Eppure in serata proprio Orban, nel ciclone delle polemiche per il pugno di ferro usato dalla sua polizia alle frontiere, sembra aprire uno spiraglio: se le quote nell’Ue passano a maggioranza «allora sono una legge, e noi dobbiamo accettarla», dice in un’intervista a Die Welt.
Anche per questo Alfano non alza i toni ma fa capire che il rispetto di un accordo significa il rispetto di tutte le parti di questo accordo: «Siamo pronti con gli hotspot, ma le cose camminano insieme», ha spiegato. «Noi facciamo registrazione e separazione tra chi scappa da guerre e persecuzioni e chi invece entra irregolarmente nel territorio europeo, ma vogliamo contemporaneamente che si realizzi la distribuzione in Europa dei 24mila su cui già c’è l’accordo e vogliamo ci siano i rimpatri».
Questo perché, ricorda, «i rimpatri li deve fare l’Europa, anzi li facciamo noi ma per conto dell’Europa, che, quindi, deve caricarsi il peso economico e soprattutto politico di organizzarli. Noi facciamo conto che la nostra parola è valida e anche la parola degli altri».