«Abbiamo finito, è fatta» Le telefonate sul caso De Luca
«Abbiamo finito, è fatta». Così, il 17 luglio scorso, in una delle intercettazioni pubblicate da alcuni quotidiani il giudice Anna Scognamiglio si rivolge al marito, l’avvocato Guglielmo Manna - entrambi indagati nell’inchiesta che vede sottoposto a indagini anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca - dopo aver scritto la sentenza che consente al governatore di rimanere in carica e mentre è ancora in camera di consiglio.
L’uomo fa partire un sms nei confronti di un componente dello staff del governatore, a capo del quale c’è Nello Mastursi, nel quale scrive: «è andata come previsto».
Secondo i magistrati della Procura di Roma è l’elemento cruciale alla base dell’inchiesta sul presunto accordo illecito.
«Credi di essere intelligente solo tu e invece anche io sono furbo», aggiunge in un altro passaggio Manna rivolto alla moglie.
Per i pm romani l’accordo illecito prevede una sorta di scambio tra la sentenza favorevole a De Luca e una nomina dello stesso Manna a un posto di prestigio nella sanità campana.
Nelle telefonate intercorse, Manna annuncia che andrà a Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania. Il 2 agosto, poi, riferisce di essere stato convocato. «Io sto a Ponza, sono stato chiamato», e lei: «Domani?». Manna: «Sì in Regione. Ora vedi sto partendo». La Scognamiglio riprende: «Se dovesse essere quello, te ne vai in ferie e parti. Speriamo bene». Manna è abbastanza esplicito: «Dovrebbe essere Napoli 1, gira voce. Non ho chiesto Napoli, ma Avellino, Caserta e Benevento». Il giorno dopo, Manna riferisce: «Sono stato segnato su una specie di bloc notes».
Molto critico con De Luca, in un’intervista a Qn, è Claudio Velardi, ex capo dello staff di D’Alema: «Il presidente ha sbagliato. Di grosso. Premesso che dobbiamo aspettare per dare un giudizio sulla questione giudiziaria, dico che ha fatto un serio errore di comunicazione politica».
Il governatore a suo avviso è colpevole di «aver mentito».
«Il collaboratore, a suo dire, sarebbe andato via perchè troppo “impegnato”. Roba da non crederci. Insomma, avrebbe lasciato perchè oberato dal lavoro. La classica pezza. Peggiore del buco.
Mi ha stupito assai il provincialismo di De Luca. Ha pensato di coprire l’errore come se amministrasse un paesello.
Mentre sappiamo benissimo quanta eco ha avuto la sua avventura politica. Come ha potuto pensare di cavarsela così goffamente?».
E il Pd per Velardi «deve dare un’immediata risposta politica. Spero ci stiano pensando».
A questo punto, aggiunge, «Bassolino davvero potrebbe vincere alla grande. Farà un pò quel che ha fatto proprio De Luca: sbaragliare il campo dai possibili avversari perchè è l’unico in grado di organizzare consenso».
Severo il commento, in un’intervista ad Avvenire, di Roberto Fico (M5S), presidente della commissione di vigilanza Rai e deputato napoletano: «Dove c’è Pd, c’è marcio. Questa indagine è l’ennesima conferma del binomio inscindibile che si è creato tra il partito di Renzi e i problemi giudiziari, in quanto arriva dopo ‘mafia capitalè, il Mose, l’Expo, le dimissioni del sottosegretario Barracciu per le “spese pazze”».
«Anche io come De Luca spero che le indagini procedano in fretta e che si faccia chiarezza su una vicenda tanto ambigua quanto grave. Ma a prescindere dalle responsabilità dirette del presidente della Regione, è lui che ha scelto di mettere a capo della sua segreteria Carmelo Mastursi.
In pratica era il suo braccio destro e De Luca ha detto una bugia dichiarando che Mastursi si sarebbe dimesso per eccessivo carico di lavoro. Un amministratore non può commettere un errore così grave e quindi deve rispondere anche di quanto fanno i suoi più stretti collaboratori. Insomma non vedo alternative: De Luca si deve dimettere».
«Ha subito minacce? Allora, un secondo dopo doveva chiamare i carabinieri o uscire e presentarsi fisicamente in Procura per denunciare. Mi pare che non abbia fatto nessuna delle due cose».
Quanto a Renzi, per Fico il premier «deve smetterla di scaricare su altri le sue responsabilità. Ormai è segretario del Pd dal dicembre del 2013».
«La situazione di De Luca sembra molto più grave di quella di Marino. E comunque tra sospensioni per la legge Severino, la condanna per abuso d’ufficio e questi altri procedimenti è inaccettabile che la Regione Campania continui a essere in balia delle vicende giudiziarie dell’ex sindaco di Salerno. Eppure sarebbe semplice risolvere il problema alla radice», «applicando la regola di M5S. Cioè che bisogna avere il casellario giudiziario intonso per potersi candidare».
Ma secondo Renzi, il caso De Luca non c’entra niente con Marino e con il Pd che ha calato il sipario sul sindaco dopo l’inchiesta sugli scontrini.
«Con Marino abbiamo chiuso perché ha mentito ma soprattutto per manifeste incapacità amministrative mentre l’indagine campana chiarirà a breve che il governatore non c’entra», spiegano al Nazareno dove prevale la linea garantista. In una vicenda che, però, a Matteo Renzi non piace affatto soprattutto per gli effetti sulle amministrative in salita anche per i nemici a sinistra ma, chiarisce il premier, «sinistra non è fare partitini che non vincono».
Dopo aver accettato, mesi fa, la candidatura di De Luca, l’indagine sul governatore crea imbarazzo tra i dem, già alle prese con un rilancio di Roma che, nell’impegno del segretario Pd, comincerà venerdì con lo stanziamento da parte del consiglio dei ministri di 150 milioni per l’avvio del Giubileo. Ma ai vertici del Pd sono certi che in 24 ore, già domani, sarà chiaro che il governatore campano è «estraneo» all’inchiesta. «L’avviso di garanzia è solo un atto dovuto e si chiarirà presto», è la linea dei dem che chiedono al governatore di restare concentrato sulle emergenze campane «da Bagnoli alla Terra dei fuochi» più che dedicare energie a difendersi.
In realtà, chi non ha mai digerito la candidatura di De Luca, nonostante i rischi della legge Severino, non mette la mano sul fuoco sull’estraneità del presidente campano ma crede che non si riuscirà a spiegare il suo coinvolgimento nella vicenda. In ogni caso, Renzi vuole tenersi ben lontano dall’ennesima bufera politica-giudiziaria-mediatica.
«Tutti i segnali economici dimostrano che l’Italia è ripartita, la realtà è più forte delle ideologie», scrive il premier, cambiando discorso, sull’e-news prima di partire per il vertice Ue-Africa sull’immigrazione.
Non un cenno, nella rubrica settimanale, al caso De Luca così come anche il voto amministrativo resta fuori dagli interventi pubblici del premier. Derubricato l’appuntamento elettorale a passaggio amministrativo, Renzi fa capire di non volersi esporre in prima persona. Anche perchè le mine, da Milano a Napoli passando per Roma, sono parecchie. La vicenda De Luca, tra l’altro, rischia di avere effetti anche nel capoluogo partenopeo dove la situazione è intricatissima.
«Se Bassolino si candida vince le primarie ma arriva quarto alle elezioni», spiega un dirigente dem. A Napoli, poi, sembra inevitabile la concorrenza sullo stesso elettorato di De Magistris così come a Torino la sinistra ha deciso di schierare Giorgio Airaudo contro Piero Fassino.
Per non parlare di Roma dove i giochi non sono nemmeno cominciati. Se poi la neonata Sinistra Italiane decidesse di non andare in coalizione, si rischia una dispersione dei voti con esiti negativi come in Liguria. «Noi non vogliamo rompere ma se loro decidessero di andare da soli non abbiamo paura e i Fassina risponderanno in caso di vittoria del centrodestra», spiegano al Nazareno. Renzi ostenta tranquillità, convinto che la prova dell’essere di sinistra stia nella cose realizzate dal governo.
E non, attacca, nel «fare convegni o organizzare piccoli partiti che non vinceranno mai».
«Essere di sinistra significa lottare contro il precariato e negli ultimi vent’anni solo due leggi hanno ridotto il precariato: il jobs act e la Buona Scuola», rivendica il leader dem che rinvia a gennaio la stretta sui nomi dei candidati sindaci.