Sindona, una storia italiana
È un testo illuminante questo di Marco Magnani, Sindona. Biografia degli anni Settanta pubblicato da Einaudi (158 pagine, 21 euro). Magnani racconta la vicenda di un faccendiere e finanziere come il siciliano Michele Sindona che arrivò dal nulla a scalare i gradini del potere, diventando una potenza mondiale della finanza. Implicato nella P2, legato alla mafia siciliana, coinvolto con Calvi e l’Ambrosiano e mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, l’avvocato liquidatore della Banca privata che si rifiutò di cedere alle sue minacce. Morirà a sua volta. Bevendo un caffé avvelenato. Ucciso proprio come il mafioso Gaspare Pisciotta, autore della strage di Portella delle Ginestre insieme a Salvatore Giuliano. Ma come Pisciotta era finito in disgrazia e non serviva più a nessuno, tantomeno a Giulio Andreotti che lo aveva portato in alto.
L'autore inquadra il tutto in un contesto che era drammatico per l’Italia del periodo, quello degli anni ’70, tra lo shock petrolifero, il disordine monetario internazionale, la contestazione, il terrorismo dilagante, la corruzione.
Magnani conosce bene molti meccanismi essendo un economista di Banca d’Italia e sa spiegare il fenomeno Sindona, che pur tuttavia resta ancora con punti oscuri. Perché è pur vero che Sindona non piaceva a un certo potere economico e politico e soprattutto a quelli che erano i nostri «civil servant», gente del calibro di Enrico Cuccia e Guido Carli che di fatto ruppero con il faccendiere siciliano. Ma ancora di più c’è da tormentarsi, perché se nemmeno attori del valore di Carli riuscirono a fermarlo, come si può agire? È evidente che c’è un problema più generale che risiede nella debolezza del nostro sistema italiano, in cui un azzeccagarbugli qualsiasi, purché aiutato dal potere mafioso, può permettersi di assurgere a livelli mai visti di responsabilità e di disponibilità. Anche grazie all’accondiscenza di una Chiesa che allora non si distinse certo per vicinanza ai poveri. Oggi tutto è cambiato, certo. C’è un Papa che si guarderebbe bene dal mettere un Marcinkus a guardia delle finanze vaticane e abbiamo istituzioni finanziarie più solide. Ma sono gli anticorpi, o meglio, i corpi controllanti che ancora mancano in questa nostra Italia. E Magnani ce lo dice con franchezza.