Pasqua, al lavoro in 4 milioni

«La festa non si vende» dicono i sindacati del commercio. Ma le serrande di tanti negozi e centri commerciali d'Italia sono aperte anche a Pasqua, facendo ripartire la polemica sui cartellini timbrati quando tutti gli altri sono in vacanza. Che sia un nervo scoperto del rapporto tra economia e diritti lo dimostra la protesta (nella foto) , ieri, dei dipendenti del mega outlet di Serravalle, il più grande d'Europa, che ha programmato l'apertura nel giorno di Pasqua. Non sono pochi del resto nel Paese, ricorda la Cgia di Mestre, le persone che lavorano la domenica: 4,7 milioni. Molte di esse sono in attività anche oggi. L'Italia, peraltro, evidenzia la Cgia, è negli ultimi posti della classifica rispetto agli altri Paesi europei tra chi lavora di domenica. Nel 2015 la media nei 28 Paesi Ue era del 23,2% (con punte del 33,9% in Danimarca), in Italia si fermava al 19,5%. Intanto la protesta per il business che non rispetta neppure le festività religiose è ripartita. A Serravalle, in provincia di Alessandria, diverse centinaia di lavoratori chiamati a raccolta da Cgil, Cisl e Uil hanno protestato contro la decisione della proprietà di tenere aperti i 250 negozi nel weekend pasquale. Due cortei, che hanno bloccato l'accesso ai parcheggi, non hanno scoraggiato del tutto i clienti, che hanno raggiunto a piedi la cittadella dello shopping, attratti dai super-sconti. Altri scioperi sono stati proclamati per oggi in Puglia, Toscana e Veneto. Politica e sindacati - come hanno sottolineato Federico Fornaro, del Mdp, e la Filcmas Cgil - chiedono intanto che riprenda l'esame del disegno di legge che regolamenta le aperture festive, approvato alla Camera nel settembre 2014 e da allora fermo al Senato. La proposta prevede per tutti gli esercizi commerciali (negozi, centri commerciali, outlet) sei giornate di chiusura festiva obbligatoria scelte tra Primo Gennaio, Epifania, 25 Aprile, Pasqua, Pasquetta, 1 Maggio, 2 Giugno, Ferragosto, 1 Novembre, 8 Dicembre, Natale e Santo Stefano.

comments powered by Disqus