Iraq, la tv conferma la morte di al Baghdadi, capo dell’Isis
La tv irachena Al Sumariya ha detto di avere saputo da una fonte nella provincia di Ninive che la morte di Abu Bakr al Baghdadi, capo dell’Isis, è confermata.
La stessa emittente aveva dato altre volte in passato notizie, poi smentite, sul ferimento del califfo.
La fonte, non precisata, riferisce che l’Isis che si appresterebbe ad annunciare il nome del successore.
Amnesty International denuncia intanto la catastrofe per i civili nella battaglia di Mosul: l’Isis ha usato intere famiglie come scudi umani e, sul fronte opposto, le forze irachene e della coalizione a guida Usa hanno utilizzato armi inappropriate rispetto alle circostanze.
Non è la prima volta oggi che viene annunciata la morte del leader del sedicente Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi.
Già il 10 novembre 2014, quando Baghdadi aveva da pochi mesi annunciato la nascita del califfato, il ministero dell’Interno iracheno affermò che il leader jihadista era rimasto ferito in un raid aereo iracheno ad Al Qaim, nella provincia occidentale di Al Anbar, mentre l’allora ministro degli Esteri iracheno, Ibrahim al Jaafari, si spinse a scrivere su Twitter che Baghdadi era rimasto ucciso. Il giorno dopo, l’11 novembre, alcuni abitanti di Mosul dichiararono al quotidiano egiziano al Ahram che il capo dell’Isis era invece stato colpito alla testa dai raid Usa nella regione tra Iraq e Siria, e che era morto poche ore dopo.
Il Pentagono aveva in effetti confermato di aver colpito un convoglio di leader dell’Isis vicino a Mosul, ma senza poter confermare quale fosse la sorta di Baghdadi.
Solo sei mesi dopo, nell’aprile del 2015, un nuovo annuncio fu diffuso da alcuni media iraniani e iracheni e ripreso da siti online panarabi di scarsa autorevolezza: secondo l’informazione di non meglio precisate fonti di intelligence irachene - anche questa rimasta senza conferme -, Baghdadi era morto in un ospedale israeliano sulle Alture del Golan al confine con la Siria, dopo essere rimasto ferito in un raid aereo il 18 marzo.
Sempre nel 2015, ancora il governo iracheno rese noto che il califfo era rimasto coinvolto in un raid dell’aviazione di Baghdad nell’ovest del Paese e che era stato «portato via d’urgenza», ma senza saper precisare se fosse rimasto ferito. Il giorno dopo, il 12 ottobre, fonti mediche locali riferirono che Baghdadi non risultava nè tra i feriti nè tra i morti dell’operazione.
Un anno fa, nel giugno 2016, una tv irachena rese noto che Baghdadi era stato ferito in un raid della Coalizione a guida Usa, nella provincia di Ninive, a ovest di Mosul. Ma Washington non confermò nemmeno questa informazione.
L’11 giugno scorso, l’ennesima notizia sulla sua uccisione: la televisione di Stato di Damasco ha riferito che il ‘Califfò era rimasto ucciso, stavolta in Siria, in un raid su Raqqa il giorno prima, e cioè il 10 giugno.
Due settimane dopo la data della presunta morte nel raid russo sulla stessa città siriana del 28 maggio scorso, che Mosca ha annunciato il 16 giugno scorso pur precisando di non poterla confermare al 100 per cento.