Amanda Knox: «Guede entrò come ladro e uccise Meredith»
Le verità «dell’altra» Amanda Knox, contro «il mostro» Foxy Knoxy, generato «da una narrazione mediatica falsa dei fatti» potente al punto «da contaminare l’inchiesta». Quarantacinque minuti di parole spezzate dalle lacrime in un italiano fluente, e una consapevolezza intatta a quasi dodici anni dall’omicidio di Meredith Kercher: «So che nonostante la pronuncia della Cassazione io rimango una figura controversa a cospetto dell’opinione pubblica, soprattutto in Italia, dove ho ancora paura di essere derisa e molestata, o di ricevere nuove accuse». Così oggi la 31enne di Seattle, per la prima volta in Italia dopo la scarcerazione, ha parlato dal palco del Festival della giustizia penale a Modena.
Dopo due giorni scivolati via in un composto ma totale silenzio durante il suo primo ritorno nel nostro Paese, a otto anni dalla sua scarcerazione e a quattro dalla sentenza assolutoria di terzo grado, accolta come una «icona del processo massmediatico» al Festival modenese, Amanda ha ripercorso i momenti salienti di una vicenda che le «ha tolto anni della giovinezza» e «ha sconvolto» la sua famiglia. Da quella notte del primo novembre 2007, in via della Pergola a Perugia, «quando un ladro, Rudy Guede, è entrato nella mia abitazione, ha violentato e ucciso la mia amica Meredith mentre io e Raffaele (Sollecito, ndr) non eravamo lì», al «peso schiacciante» della «parola ‘colpevolè pronunciata dal giudice», in primo grado.
Ancora: dal momento in cui «per la prima volta dentro al carcere ho visto piangere mio padre e allora ho capito quanto fosse grave la situazione» per ‘restarè con la memoria sempre dietro le sbarre, dove dice di aver «meditato sul suicidio». Fino all’oggi, all’aver accettato l’invito al Festival di Modena, «per il quale non sono stata pagata, perchè sono altre le tante persone che hanno tratto profitto dalla mia storia», respingendo l’accusa che la sua presenza «sia un profanare la figura di Meredith, come se il solo fatto che io sia viva fosse un affronto a lei».
Abito color panna, capelli sciolti e tono pacato, Amanda Knox si è soffermata anche su alcune figure che l’hanno accompagnata negli anni dell’inchiesta. Su tutte «il mio pm», Giuliano Mignini, il magistrato che a Perugia ha coordinato le indagini.
«Vorrei avere un faccia a faccia con lui», ha detto oggi.
«Quando avevo vent’anni per me quel pm era solo un mostro con l’obiettivo di distruggere la mia vita. Quell’immagine era sbagliata e me ne sono resa conto grazie ai media», «un giorno mi piacerebbe incontrarlo» perché «possa capire che non sono un mostro, ma semplicemente Amanda». Se da Perugia, a stretto giro, è arrivata la replica del pm, «valuterò, ma non credo proprio che sarà possibile incontrarci», questo di Amanda Knox è stato uno dei pochi accenni positivi ai media che, in questi giorni modenesi, la 31enne ha evitato senza mai rivolgere loro la parola. «I media nella mia vicenda sono arrivati a sostenere il tema dell’orgia finita male. Mi definivano ‘Foxy Knoxy’. Sul palcoscenico mondiale io ero una furba, psicopatica e drogata, puttana. Colpevole. Io e Raffaele siamo stati marchiati dai titoli dei giornali».
Proprio mentre ‘l’altra Amanda’ lasciava il Monzani di Modena (nelle prossime ore partirà dall’Italia) rincorsa da fotografi e cameraman provenienti anche dagli Stati Uniti, i ‘fantasmi’ di Amanda Knox sono ricomparsi, da Perugia, con gli interrogativi di sempre. «Spieghi come mai ha calunniato Patrick Lumumba», chiede l’avvocato Francesco Maresca, legale dei familiari di Meredith Kercher. Knox è stata definitivamente condannata a tre anni per calunnia su Lumumba. Per la violenza e l’omicidio della studentessa inglese, invece, l’unico condannato in via definitiva è Rudy Guede con una pena di 16 anni.