«Smania di riaprire, la Lombardia aggiusta i dati covid»: è scontro fra Regione e fondazione Gimbe
La Lombardia, che da sola rappresenta circa la metà dell’epidemia da nuovo coronavirus in Italia, teme di essere lasciata indietro, al momento delle riaperture interregionali del 3 giugno, e smania per ripartire. Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, lo ha sottolineato in un’intervista a Radio 24, nella quale ha sostenuto che in Regione Lombardia «si combinano anche magheggi sui numeri».
Parole giudicate «gravissime, offensive e soprattutto non corrispondenti al vero», commenta la Regione, spiegando di naver già deciso di presentare una querela contro la fondazione Gimbe e il suo presidente.
Si tratta di «accuse intollerabili e prive di ogni fondamento - si legge nella nota - per le quali il presidente di Gimbe dovrà rispondere personalmente. I nostri dati, come da protocollo condiviso da tutte le Regioni, vengono trasmessi quotidianamente e con la massima trasparenza all’Istituto Superiore Sanità».
Negli ultimi 20 giorni la Lombardia ha avuto il 6% di tamponi diagnostici positivi, termine che indica i tamponi fatti per la diagnosi del Sars-Cov-2 ed esclude quelli eseguiti per confermare la guarigione virologica o per la necessità di ripetere il test. Un numero «particolarmente rilevante», insieme a quello della Liguria, pari al 5,8%.
A fronte di una media nazionale del 2,4% di tamponi diagnostici positivi, le altre regioni che ne hanno una percentuale più alta della media sono il Piemonte (con il 3,8%), la Puglia (3,7%) e l’Emilia Romagna (2,7%).
«Da tempo abbiamo denunciato che la Lombardia comunica in un unico dato dimessi e guariti, e se i guariti sono sovrastimati Rt si abbassa», ha affermato Cartabellotta dopo la replica della Regione Lombardia alle sue dichiarazioni a Radio 24, invitando la Regione a rendere disponibile tutti i dati in formato open «come fanno altre Regioni». «Per i dimessi non si conosce il loro status di guarigione clinica o virologica e, come ‘casi attivì devono restare in isolamento domiciliare», dice Cartabellotta.
«Oltre alla distorsione del quadro epidemiologico nazionale (la Lombardia in alcune fasi dell’epidemia riportava oltre il 50% dei guariti), l’indice Rt utilizzato dal ministero della Salute, è condizionato dai casi chiusi, decessi e guariti. Di conseguenza, se i guariti sono sovrastimati l’Rt si abbassa. A questo va aggiunta - conclude il presidente Gimbe - la mancata disponibilità dei decessi su base provinciale e comunale.
Infine, è impossibile verificare i dati come per altre Regioni visto che non sono disponibili in formato open».
«Dalla Lombardia vediamo una «smania quasi ossessiva nel riaprire perché è il motore economico d’Italia. Però la nostra grossa preoccupazione è che la Regione Lombardia sarà quella che uscirà per ultima da questa tragedia nazionale perché è ovvio che la volontà politica non è quella di dominare l’epidemia, ma di ripartire al più presto con tutte le attività e questo non lascia tranquilli», aveva aggiunto Radio 24, con Maria Latella e Simone Spetia.
La Lombardia, afferma Cartabellotta, «ha avuto probabilmente una enorme diffusione del contagio prima del caso di Codogno e probabilmente le misure del lockdown dovevano essere più rigorose e intensive. Avevamo chiesto ad esempio, la chiusura della Lombardia come successo a Wuhan, perché quel livello di estensione dei contagi così alto non poteva che essere la testimonianza che il virus serpeggiava in modo molto diffuso già a febbraio».
Questo, ha concluso il presidente Gimbe, «non è stato fatto, sono state prese una serie di non decisioni, come la mancata chiusura di Alzano e Nembro, che ha determinato la diffusione incontrollata nella bergamasca».