Politica agricola comune, ok fra le polemiche al compromesso che porta 38 miliardi all'Italia
Dopo tre anni di negoziato via libera a un'intesa che cerca un equilibrio fra le esigenze economiche e quelle della transizione verso prassi più sostenibili. Delusi gli ambientalisti, che condannano l'accordo sulla quale la prossima settimana si confronteranno i governi
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BRUXELLES. Dopo tre anni di negoziato arriva la fumata bianca sulla nuova Politica agricola comune, che vale oltre 340 miliardi di euro dal 2021 al 2027, di cui più di 38 per l'Italia (quasi 50 con la quota di cofinanziamento nazionale).
Si tratta di nuna partita che interessa molto anche il Trentino
Quello raggiunto è un accordo provvisorio che dovrà passare l'esame dei ministri dell'agricoltura riuniti lunedì e martedì, e anche dell'Europarlamento.
Il tentativo è quello di rendere la Pac più verde e più equa, ma la riforma viene giudicata insufficiente dalle organizzazioni ambientaliste.
Si tratta comunque di un successo in extremis per la presidenza di turno portoghese dopo il naufragio del negoziato del mese scorso.
A spianare la strada è stato il compromesso sulle misure verdi nel regolamento sui piani nazionali, arrivato nella notte.
Punto delicato, in cui si incrociavano i dubbi degli Stati sulla gestione dei piani strategici nazionali, cuore della riforma del 2018, con le priorità del Green Deal, arrivato con la Commissione von der Leyen nel 2019-20.
Le istituzioni Ue hanno raggiunto un equilibrio su una maggiore integrazione tra Pac e Green Deal e sulla destinazione a pratiche agronomiche rispettose dell'ambiente (ecoregimi) del 25% delle dotazioni nazionali per i pagamenti diretti 2023-27.
Quasi 49 miliardi in 5 anni. L'Europarlamento chiedeva il 30%, gli Stati il 20%.
Per incontrarsi a metà strada c'è voluta la garanzia di ampia flessibilità per i Paesi, che si sono blindati contro l'eventualità di perdere fondi.
Dalla maratona notturna è nata anche - almeno in principio - la condizionalità sociale, cioè il vincolo degli aiuti Pac al rispetto delle norme fondamentali a tutela del lavoro nei campi.
Il pagamento redistributivo, che aiuta le piccole aziende, che viene fissato al 10% del montante pagamenti diretti e sarà obbligatorio per tutti i paesi, con possibilità di chiamarsi fuori solo se dimostra di raggiungere gli stessi scopi di equità con altre misure.
In mattinata, mentre i negoziatori riprendevano il lavoro nelle sale dell'Europarlamento, arrivavano le prime reazioni.
Gli agricoltori manifestavano davanti alla sede dell'Eurocamera a Bruxelles, chiedendo di considerare "gli impatti cumulativi di tutte le politiche sulla comunità agricola europea", con riferimento esplicito agli accordi commerciali e alla strategia Farm to Fork.
Le Ong ambientaliste reagivano a colpi di comunicati stampa, demolendo l'impianto green della riforma: troppo blando il legame tra Pac e Green Deal, troppe le flessibilità concesse ai paesi membri. Gli uffici europei di Greenpeace e Wwf hanno chiesto all'Europarlamento di respingere un accordo che sull'ambiente, secondo l'altra Ong Eeb, sarebbe addirittura peggiorativo dello status quo.
Sulla stessa linea i ragazzi dei Fridays for future, il movimento che fa capo a Greta Thunberg, che hanno fatto campagna per mesi sul ritiro della riforma.
Ma la Commissione europea benedice l'accordo con il vicepresidente Frans Timmermans e gli altri gruppi politici che sembrano decisi a dare l'ok.
I socialisti con il coordinatore agricoltura Paolo De Castro che pone l'enfasi sul pilastro sociale, il Ppe che con il sudtirolese Herbert Dorfmann, eletto con voti prevalentemente nelle tre province dolomitiche di Bolzano, Belluno e Trento, celebra i risultati positivi per le piccole aziende e i liberali di Renew Europe, per i quali il presidente della commissione ambiente Pascal Canfin ha già chiarito di apprezzare il compromesso.