Doppia assoluzione per l'infermiera accusata di due omicidi: "Non poteva che finire così"
La corte di assise d'appello ha stabilito che "il fatto non sussiste", mettendo la parola fine (salvo nuovi ricorsi in Cassazione) a una intricata vicenda giudiziaria per la quale la donna, condannata in primo grado, ha passato oltre mille giorni in carcere
BOLOGNA. Con le due arrivate ieri, in contemporanea, sono quattro le assoluzioni in appello dalle accuse di omicidio e per la seconda volta nel giro di quattro anni l'ex infermiera Daniela Poggiali (nella foto) può uscire dal carcere come donna libera.
"Sono felice, non poteva che andare così", ha commentato l'imputata 49enne subito avvicinata in aula dalla sorella e dal cognato, esultanti per questa nuova e per lei importantissima vittoria giudiziaria.
La Corte di assise di appello di Bologna, presidente Stefano Valenti, era chiamata a esprimersi in un colpo solo su due casi simili, che però negli anni hanno avuto tempi di sviluppo differenti.
Per il primo si trattava di un raro appello ter e la Procura generale ha ribadito con il sostituto pg Luciana Cicerchia la richiesta di confermare l'ergastolo per l'omicidio della 78enne Rosa Calderoni, secondo l'accusa fatta morire con un'iniezione di potassio a poche ore dal ricovero, l'8 aprile del 2014 all'ospedale Umberto I di Lugo.
Il secondo filone invece vedeva Poggiali a giudizio per l'omicidio di un altro anziano paziente, il 94enne Massimo Montanari, deceduto il 12 marzo 2014 sempre a Lugo.
In primo grado, per questo, era stata condannata a 30 anni e sottoposta a custodia cautelare in carcere, arrestata alla vigilia del Natale 2020.
Le decisioni di ieri, entrambe con la formula "perché il fatto non sussiste", sono un momento importante, ma non quello definitivo perché sono sempre possibili ricorsi in Cassazione che, se ci saranno, potrebbero allungare ulteriormente una infinita trafila giudiziaria.
La vicenda processuale si era aperta nell'ottobre del 2014, quando Poggiali fu arrestata per il caso Calderoni.
Condannata in primo grado all'ergastolo a Ravenna, l'infermiera aveva passato oltre mille giorni in carcere per essere liberata solo all'indomani della prima assoluzione, il 7 luglio 2017 "perché il fatto non sussiste' dalla Corte d'assise d'appello di Bologna, sulla base di una perizia giudicata favorevole all'imputata perché avallava la possibilità della morte per cause naturali della paziente.
La successiva decisione della Cassazione, l'anno seguente, di ordinare un nuovo processo d'appello a Bologna non cambiò la decisione dei nuovi giudici, che confermarono la formula "il fatto non sussiste" per assolvere di nuovo la donna nel 2019.
L'insistenza della Procura nell'impugnare anche questa decisione trovò però ulteriore ascolto dalla Cassazione, che ancora una volta aveva rimandato indietro il processo.
Nel frattempo l'ex infermiera è stata condannata in abbreviato a Ravenna anche per il caso di Montanari, morto la notte prima delle annunciate dimissioni.
E dopo questa condanna è stata disposta una nuova misura di custodia cautelare in carcere, eseguita, appunto, la vigilia di Natale 2020.
L'appello ter sulla morte di Calderoni, andato di pari passo con l'altro processo, ha visto disporre nuove perizie, tra cui uno studio statistico-forense dal quale è emerso che nei turni nei quali era in servizio l'imputata, il tasso di mortalità dei pazienti era "tre-cinque volte rispetto alla media degli altri infermieri".
Ma l'accusa contro di lei "è qualcosa di folle" ha detto ieri Poggiali nelle dichiarazioni spontanee prima che prendessero la parola le parti.
I suoi difensori, gli avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera, hanno parlato per circa due ore.
Valgimigli, in particolare, che alla fine ha definito la sentenza di assoluzione un "passo nevralgico e decisivo", aveva accennato alle modalità con cui i dipendenti Ausl avevano repertato il deflussore con tracce di potassio e ha definito le indagini sul caso "fai da te e inaffidabili" e anche "abusive".