Bossi, cimici e giornalisti
E' il classico caso di cortocircuito dell'informazione, ma anche la dimostrazione di come tra un certo mondo del giornalismo e della politica ci sia connivenza, intreccio, amoralità di rapporti. Parliamo della vicenda Bossi e delle sue presunte microspie o cimici che dir si voglia.
Una vicenda che evidenzia come una parte del giornalismo sia ridotto al chiacchiericcio da bar, al pettegolezzo da lavandara.
La vicenda è nota. E bisogna immaginarla, nel suo snodarsi. Per chi non ha mai seguito Umberto Bossi nelle sue intemerate post prandiali, come un grande circolo di amici adoranti attorno al "boss" con uno stuolo di giornalisti che ascolta, beve, fuma e fa battute con il senatur. Va aggiunto che in questo circo barnum i protagonisti – tra i giornalisti – sono quasi sempre gli stessi, mandati al seguito dai grandi giornali e la cui preoccupazione, quando Bossi è a fare il suo riposino o una riunione con i suoi fidi, è quella di trovare una locanda dove ristorarsi abbondantemente caricando i rimborsi spese redazionali. E mentre questi illustri colleghi mangiano, si mettono anche d'accordo su che cosa tirare fuori dal menu stantio delle chiacchierate con Bossi.
Quando arriva sera Bossi a Pontedilegno ama tirar tardi. Seduti accanto vuole i politici leghisti che in quel momento fanno parte del suo cerchio magico. Un poco più indietro i fans locali che ascoltano. Generalmente in piedi i giornalisti, come mucche in una stalla. Bossi conosce i giornalisti al suo seguito, sa che gli deve dare l'osso. Una volta sono state le pallottole contro i magistrati, un'altra i fucili padani pronti alla rivoluzione e stavolta le microspie. Il copione è sempre quello. Questa volta sulle cimici si è dimenticato – sarà l'età o la consapevolezza che i giornalisti e i lettori non hanno memoria – che già nel '94 ne aveva parlato. Poi fu imitato da Silvio Berlusconi nel '96 che esibì una cimice che pareva un mattone, tanto era grande. Quella volta venne fuori che qualcuno davvero l'aveva sistemata, ma lo stesso Bossi e Maroni lo presero in giro: "Se l'è messa lui..." Poco dopo Bossi ripetè la storiella. Stavolta Bossi si è lanciato a dire che ne ha trovate in casa, al ministero e più d'una. Ha fatto fare una bonifica da una ditta. Poi ha chiamato Maroni che gli "ha mandato qualcuno dei suoi ragazzi" e non hanno trovato nulla. Denunce? Nessuna. "Tanto non sarebbe servito". E perché no? Strano, un pubblico funzionario, qual è un ministro, che non denuncia un reato.
Ma a Bossi interessa il botto sui giornali. Il giorno dopo, qualche giornalista preferisce fare qualche domanda e approfondisce la questione, come oggi sul Corriere della Sera, da cui si capisce che le indagini non hanno fatto emergere alcuna cimice. Nulla di nulla. E pazienza se il ministro delle Riforme potrebbe essere incolpato di qualche reato, come il procurato allarme. Nessuno lo incolperà, ma rinnova il ritratto di una nostra classe politica a cui piace giocare con le parole e con il nulla, approfittando di quell'eterno mai celato compiacimento con i misteri, proprio del nostro Paese. E che tuttora Berlusconi alimenta con quel "siamo tutti spiati" e non si capisce mai bene da chi.
E tutti a parlare di complotti, servizi, investigatori, spie. Peccato che certi tempi sono passati, quando le spie e i servizi deviati c'erano davvero. Quando le microspie venivano usate sul serio, ad esempio verso il Partito comunista che aveva periodicamente bersagliato il muro di via Botteghe Oscure da un ufficio del Sisde, camuffato in un negozio di tappeti sull'altro lato della strada.
Ora, non che i misteri non ci siano. Basti pensare all'attentato alla sede della Lega a Gemonio, il paese di Bossi. Vengono fermati dei giovani che vengono subito collocati politicamente nell'area dei centri sociali. Poi Bossi fa una mezza ammissione: sono figli di leghisti. E proprio ieri, con tante scuse il gip libera Marco Previati, arrestato – dice il gip – con "malfermissime prove e una modesta delazione". Nessuno ci racconterà la verità. Ma che cosa si nasconde dietro questi attentati e soprattutto dietro quelle mezze rivelazioni che Bossi butta in pasto ai giornalisti?
Nessuno ci dirà la verità e allora meglio divertirsi a immaginarsi complotti, spie, dossier, che forse sono anche veri e forse no. Tanto un giornalista che si diverte a scrivere le presunte rivelazioni di Bossi ci sarà sempre. Ma guai a fare domande scomode al ministro sul perché trovi delle microspie, faccia bonificare i suoi uffici, faccia sparire le microspie e poi chiami la polizia. E, passati due mesi, annunci al mondo tutto questo.