Il web che crea violenza e il web che la combatte
David Cameron, nero di rabbia, parla di chiudere i social network. Ma proprio sui social network i suoi cittadini stanno organizzando la ricostruzione delle città. E in Italia, grazie ai social network, pare che alcuni fortunati non pagheranno più 1,60 € per degli spaghetti alle alici
«Blocchiamo i social network come Facebook e Twitter». L’appello non arriva da qualche dittatore di un paese in guerra, ma dal premier britannico David Cameron. Dalla terra del diritto, ecco una frase che suona come una minaccia per la libertà individuale di tutti. Certo, Cameron in questi giorni non è propriamente felice e rilassato: i «suoi» giovani hanno messo a ferro e fuoco la città. Non per avere il pane o per rivendicare diritti, ma per rubare cellulari, playstation e felpe di marca. Il suo umore nero è quindi comprensibile. E, ad onor del vero, il discorso va analizzato nella sua completezza, non limitandosi ai titoli («Chiudete Facebook»; «Cameron contro i social network»; «Bloccheremo i social network»): citando l’Adige di oggi, Cameron ha detto che «la libera circolazione delle informazioni può essere usata per nobili azioni. Ma anche per azioni malvagie. Stiamo lavorando con la polizia, i servizi d'intelligence e l'industria per capire se può essere giusto impedire alle persone di comunicare attraverso questi siti e servizi quando sappiamo che stanno preparando violenze disordini e atti criminali». E, messa così, la questione assume un significato diverso. Anche se resta non condivisibile.
I social network, ormai e forse per sempre, fanno parte della nostra vita. Ognuno è libero di usarli come crede: restando a Londra, è vero che i rivoltosi li sfruttavano per organizzare atti teppistici, ma è anche vero che i comuni cittadini li usavano per evitare le zone a rischio, per postare foto e video utili poi alla polizia e li stanno utilizzando per organizzare la «grande pulizia» (su twitter, #riotcleanup fondato dall'artista Dan Thompson, ha già superato gli 80mila follower). Insomma, non sono Facebook e Twitter ad essere buoni o cattivi, ma le persone che li usano. E se la violenza corre su questi canali è anche vero che questi stessi canali possono essere il mezzo per fermare la violenza.
Facciamo qualche esempio sull’utilizzo di Facebook. La scorsa primavera il governo del Sudan ha creato su Facebook una pagina per diffondere e organizzare un’azione contro il governo stesso. Sulla bacheca erano indicati luogo e orario della protesta. Si trattava ovviamente di un’imboscata e tutti quelli che si sono presentati sono stati arrestati. La gente, in questo caso, si è fidata di Facebook, ricevendo in cambio una sonora fregatura. Però bisogna anche dire che tutte le rivolte africane dei mesi scorsi hanno sfruttato la forza di internet, ottenendo risultati incredibili. Spostiamoci in Spagna. Maggio scorso, Puerta del Sol. Un movimento di protesta giovanile nato e cresciuto grazie ai social network. Su Facebook e Twitter non si parlava di fidanzati, di mercato calcistico o di attori e attrici, ma di politica, di problemi sociali, di diritti. Il web ha messo in contatto i disagi delle persone, aiutandole a combatterli. Infine restiamo in Italia. In questi ultimi giorni le foto del menù di Montecitorio hanno fatto il giro di internet, raccogliendo indignazione ed ironia. Risultato? Schifani ha annunciato che i prezzi della ristorazione interna verranno presto adeguati ai costi effettivi. Per la prima volta al mondo la gente lotta perchè i prezzi vengano alzati. E ovviamente vince. (Solo in Italia...)
Tornando al tema iniziale, spero che, passata l’arrabbiatura, Cameron torni sui propri passi e sulle proprie dichiarazioni. Le persone hanno bisogno del web e dei social network, per comunicare, per confrontarsi, per indignarsi, per essere informate, per scegliere liberamente. Ovviamente, come in tutte le cose, c’è chi usa il web per promuovere la violenza, per fregare il prossimo, per fare disinformazione. Ma fa parte del gioco e bloccare la rete non è certo la soluzione.