Io, a 13 anni minacciato e derubato
Oggi Trento non è più un paese dove tutti si conoscono. È una città, cresciuta fortemente negli ultimi decenni, e non può essere lasciata in balìa di bande giovanili o bulli sbandati, o ragazzi che la vita e le vicissitudini di emigrazione hanno reso troppo in fretta smaliziati, se non addirittura violenti e approfittatori. Non si può far finta di niente lasciando che si approfitti del basso livello di attenzione sociale e politico che episodi come questo suscitano
Caro direttore, sono un ragazzo di 13 anni. Voglio raccontarle quanto mi è successo nel pomeriggio dell'altro ieri in pieno centro a Trento.
Con i miei amici siamo andati alle macchinette di piazza Lodron perché volevamo una bibita. Quando l'abbiamo presa ci siamo imbattuti in un ragazzo che non ci lasciava andare via e ci ha chiesto di dargli i nostri soldi che avevamo.
Era su una bici rossa tipo Graziella piena di scotch isolante nero, con le scarpe Adidas rovinate bianche con una grande linguella, era sui 15/16 anni alto sui 1,75 coi capelli lisci neri. Impauriti abbiamo (ho) dato i soldi che avevo, un euro e 50 e i miei amici non possedevano soldi.
Poi ci ha chiesto dove abitavamo ma noi abbiamo dato indirizzi falsi. Poi abbiamo chiesto di andarcene ma lui ha detto che dovevano arrivare i suoi amichetti e non ci lasciava andare allora abbiamo detto che aspettavamo un nostro amico e lui ci ha chiesto chi era e dove abitava e noi abbiamo dato un nome falso e un indirizzo falso. Alla fine io ho chiesto di andarcene per l'ennesima volta e mi sono avviato anche se avevo molta paura ed il tipo mi diceva: «Fermo». Alla fine ha detto che potevamo andare. Ah, ha anche detto: «Noi siamo amici vero?».
Sono tornato a casa molto impaurito. Il mio papà è andato subito a cercarlo e ha detto che se lo trova gli stacca la testa dal collo anche se io non volevo, e se dopo lo incontro ancora? La sera a cena abbiamo parlato e il mio papà e la mia mamma hanno detto che dovevo mettermi a urlare e che dovevo andare dalla guardia che c'è al supermercato del Sait. Noi eravamo in tre ma eravamo congelati dalla paura. Di queste cose ne abbiamo parlato anche a scuola perché vicino alla scuola ci sono sempre dei «tipacci» ma quando sei lì davanti è diverso da quando parli. Il mio papà e la mia mamma mi dicono che non bisogna che nessuno ti obblighi a fare le cose che non vuoi, ma loro sono grandi ed è più facile. Io in piazza Lodron non sapevo cosa fare e mi è venuta la gola secca.
Il fatto denunciato da questo ragazzo con una coraggiosa lettera pubblica all'Adige merita grandissima attenzione, e non può essere archiviato come un semplice episodio di microcriminalità giovanile. Se a Trento, nella civilissima Trento, in un'ora qualunque del pomeriggio, nella centralissima piazza Lodron frequentata di passanti, succedono queste cose, vuol dire che non c'è solo un problema di percezione di sicurezza, ma di vera e propria sicurezza.
Non può essere che un ragazzo, che può essere figlio di ciascuno di noi, faccia due passi con gli amici, e venga taglieggiato, minacciato e intimidito come in una qualunque periferia di metropoli, abbandonata a se stessa e alla criminalità comune. Certo, queste cose accadevano anche un tempo, e magari si risolvevano in una zuffa tra coetanei, in qualche pugno e graffio in viso, e magari nell'intervento successivo dei genitori, una volta tornati a casa.
Oggi Trento non è più un paese dove tutti si conoscono. È una città, cresciuta fortemente negli ultimi decenni, e non può essere lasciata in balìa di bande giovanili o bulli sbandati, o ragazzi che la vita e le vicissitudini di emigrazione hanno reso troppo in fretta smaliziati, se non addirittura violenti e approfittatori. Non si può far finta di niente lasciando che si approfitti del basso livello di attenzione sociale e politico che episodi come questo suscitano.
Quanto avvenuto in piazza Lodron deve interrogare i giovani, le famiglie, la scuola, gli insegnanti, ma l'intera comunità trentina, a cominciare dalle sue autorità politiche, amministrative e di pubblica sicurezza.
O riusciamo a sminare tale crescendo di paure e di chiusure, o riusciamo ad integrare nei valori di civiltà e di rispetto che contraddistinguono la nostra storia e la nostra cultura anche i «nuovi» trentini e i trentini che sono ai margini, altrimenti c'è il rischio vero che saltino le basi della convivenza civile, dell'accoglienza, dell'ospitalità, della pacifica coesistenza di diversi, su cui si fonda la comunità trentina intera.