Giovani, rassegnazione e lavoro all'estero
Gentile direttore, seguo assiduamente il programma di Rai radio tre, Prima pagina, e ho molto apprezzato l'equilibrio della sua conduzione durante l'ultima settimana di maggio. Ho sentito la necessità di scriverle, anche se a distanza di tempo, riguardo alla Sua risposta alla telefonata di una signora, madre di tre figli laureati, molto preoccupata per la mancanza di opportunità per i giovani. La signora chiedeva, e si chiedeva, se i figli fossero destinati a un'emigrazione forzata per poter garantirsi un futuro e una famiglia.
La Sua risposta, citando Borrelli, fu un invito ai giovani laureati a «resistere, resistere, resistere!» rimanendo in Italia a qualsiasi condizione. Mi permetto di dissentire su questa questione, prima di tutto perché lo spirito patriottico e di solidarietà dovrebbe riguardare tutti e non solo coloro che per questioni generazionali e contingenze storiche si trovino a pagare un conto salato. È più facile resistere con un lavoro dignitoso e uno stipendio garantito.
Le ricordo che la questione dei laureati italiani, e trentini, costretti all'emigrazione, non è un problema di oggi e abbraccia ormai diverse generazioni. Sul finire degli anni Novanta, quando vivevo in Germania conobbi molti italiani, e anche trentini come me, con una laurea in tasca, che cercavano una realizzazione nelle università e soprattutto nei laboratori tedeschi che erano ben felici di approfittare di «manodopera qualificata» senza costi di formazione. E allora l'unica cosa che il governo italiano riuscì faticosamente a varare, come sicuramente ricorderà, fu il programma denominato «Rientro dei Cervelli», che per mancanza di investimenti a lungo termine naufragò miseramente e servì solo a tranquillizzare l'opinione pubblica sulla nostra attenzione nei confronti dell'eccellenza.
Alcuni di quei giovani, cercarono di rientrare in Italia, adattandosi a condizioni lavorative non consone alla loro formazione, e come è costume nel sistema italiano, e anche trentino, dovettero, nel migliore dei casi, rimettersi, come si suol dire, «in coda».
Ora a distanza di quasi vent'anni torniamo inutilmente a discutere di giovani e a dare consigli, come quello di andare all'estero per poi tornare con una maggiore qualificazione. Ottimo consiglio in un sistema sanamente competitivo che valuta i curricula, ma che non regge se il sistema si basa sulla «fedeltà corporativa» o sui rapporti personali: chi non sta alle regole e va all'estero, non ha possibilità di rientrare, a meno che non venga mandato in trasferta dal sistema stesso. Un meccanismo che non premia gli individui indipendenti e curiosi, ma, diciamo, quelli «fedeli».
Da insegnante e ancor più da padre non riesco a comprendere la Sua risposta a quella madre, che non merita di essere illusa, come non dobbiamo illudere i nostri figli e i nostri giovani, che non devono resistere in una terra che non offre loro opportunità, ma devono resistere altrove dove di difficoltà ne incontreranno molte, ma dove forse potranno realizzare anche le loro speranze.
Pietro Delpero
L'ascoltatrice intervenuta nella bella trasmissione di Rai radio3 «Prima Pagina» sottolineava la situazione drammatica dei giovani senza lavoro in Italia, con un tasso di disoccupazione pari a quasi il 42%, e metteva in evidenza lo scoraggiamento e la «disperazione» di tali giovani e delle loro famiglie (la signora stessa parlava della propria esperienza in prima persona).
La risposta data suggeriva di «resistere, resistere, resistere», cioè di non lasciarsi andare alla rassegnazione, ma di combattere pur nelle difficoltà del momento. Non rimanendo fermi in Italia, senza lavoro e senza far niente, ma dandosi da fare in tutte le maniere. Anche facendo lavori e lavoretti meno prestigiosi e qualificanti, ma anche rendendosi disponibili a lavorare all'estero, magari per poi tornare successivamente in Italia quando le cose fossero migliori e l'attuale crisi attenuata o superata.
Non era quindi un invito a restare immobili o rassegnati sotto le comode ali della mamma, ma al contrario un monito a non demordere pur nella gravità senza precedenti nel dopoguerra della situazione attuale.
p.giovanetti@ladige.it