La «lotta armata»? In piazza, al bar o al pc?

di Matteo Lunelli

«La lotta armata al bar», dice la strofa di una canzone di Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettrica. Ma non è di musica che voglio parlare (anche se lui, secondo me, è il Rino Gaetano degli anni Zero, consigliatissimo). E nemmeno di bar, anzi in un certo senso sì. E nemmeno di lotta armata, anzi in un certo senso sì. Mi spiego.

La frase di cui sopra mi è venuta in mente dopo aver trovato su Facebook una petizione online. Il titolo, piuttosto eloquente, è: «Comune di Trento: Rappresentanza Universitari in Consiglio Comunale». Antonio, il ragazzo che ha promosso la petizione (sono già 80 le adesioni), spiega: «Per evitare situazioni spiacevoli come quella del Cafe de la Paix ho pensato a questa petizione. Un modo per diventare partecipi, anche se non residenti, delle decisioni prese dal Consiglio, in modo da portare la nostra voce direttamente nelle istituzioni e per evitare incomprensioni. Abbiamo bisogno dei nostri spazi e dei nostri tempi. Non siamo solo numeri di matricola che pagano affitti».

All’interno del sito change.org, bastano cinque minuti per creare la propria petizione. Ce ne sono migliaia e migliaia, ognuna legittima, ognuna con migliaia e migliaia di firme. Tornando a quella di Antonio, quando l’ho letta mi è venuta in mente la frase di Vasco Brondi. La lotta armata (intesa metaforicamente) è nata nelle strade e nelle piazze, poi si è trasferita al bar e ora vive sugli schermi dei computer. Sbaglio? Internet è un mezzo straordinario per favorire la partecipazione (termine usato anche da Antonio). Ma la domanda è: possiamo considerare partecipazione il fare quattro click comodamente seduti sul divano o sulla sedia in ufficio?

Ampliando il discorso. Possiamo considerare fare politica condividere una foto su Facebook o fare un tweet ironico commentando una notizia? Ribadisco: il web è stupendo da tantissimi punti di vista. Permette di informarsi, di capire da che parte tira il vento (anche se poi le urne sono un’altra cosa), di promuovere eventi e opinioni. Ma è uno strumento troppo comodo: il sito delle petizioni si chiama «change», ma per fare un vero «change» credo sia necessario alzare il sedere dalla poltrona e non affidarsi solo a pollice e indice per fare quattro click. Altrimenti aveva ragione Vasco Brondi quando parlava di lotta al bar e avevo ragione io quando parlavo di lotta allo schermo del computer o dello smartphone.

 

P.S. Se volete firmare la petizione di Antonio, è qui

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