Non hai lo smartphone? Sei solo come un cane
Due anni e mezzo fa, su questo blog, ho descritto una normale giornata di una normale persona qualunque. Un “A day in the life”, come cantavano i Beatles, sempre online, sempre connessi, sempre sul pezzo (ecco l'articolo). Oggi le cose non sono cambiate molto, anzi, se possibile, credo che quella che era una sorta di provocazione sia adesso la realtà. Triste realtà per alcuni. Ma forse no.
Due giorni fa è spuntato un video, dal titolo eloquente “I forgot my phone”. Il breve filmato realizzato a Los Angeles da Charlene de Guzman racconta una dura verità: siamo dipendenti dal nostro smartphone, e chi lo dimentica - oppure sceglie volontariamente di non farne uso - è solo. Solo come un cane. Su YouTube questa sorta di cortometraggio ha totalizzato in due giorni cinque milioni di visualizzazioni, ma non è questo il punto. Il punto è: quanto c’è di vero in quei due minuti di video? Siamo realmente diventati così? E, se sì, c’è solo del negativo nell’essere così?
Sono domande che non possono avere una risposta unica, oggettiva e condivisa. L’unica cosa certa - credo - è che questi oggetti che abbiamo sempre in mano hanno cambiato le nostre vite. Hanno cambiato la prospettiva dalla quale guardiamo le cose. Ormai vediamo le cose attraverso uno schermo. I momenti più importanti, che possono essere semplicemente un aperitivo con degli amici o un tramonto spettacolare o la canzone che più si ama ad un concerto, non li vediamo con i nostri occhi. Li vediamo, rivediamo e condividiamo con tante persone.
Due foto mi hanno sempre impressionato. Una riguarda l’habemus papam e una un concerto.
Eventi che le persone presenti non hanno visto in diretta, ma hanno visto filtrate attraverso uno schermo. Ma ciò vuol dire che siano state emozioni meno intense? Non è detto, anzi. Questo ha permesso loro di essere testimoni del tempo, di rendere partecipi, in diretta, persone sconosciute non presenti.
Alcuni dicono e pensano che gli smartphone e i tablet ci abbiano lobotomizzati. Che non siamo più capaci di godere di un momento, di un evento, di un fatto con i nostri occhi. Se non mettiamo su Facebook, in diretta, la foto della spiaggia dove siamo, del piatto di pastasciutta che stiamo per mangiare, dello spritz che stiamo per bere, degli amici con i quali siamo, della ragazza/o che abbiamo appena rimorchiato, del libro che stiamo leggendo è come se non stessimo facendo quell’azione.
O condivisione o muerte (sociale).
Forse aveva ragione Chris McCandless (guardatevi il film Into the Wild), che scrisse: "Happiness is real only when shared". La felicità è reale solo quando è condivisa. Non si riferiva certamente agli smarphone e ai social network, ma aveva ragione. Eccome.
IL VIDEO