Orsi, superata la soglia
La cruenta aggressione dell'orso di mercoledì scorso a Cadine, che ha messo a rischio la vita di un podista inerme, di fatto ha cambiato le cose sul Progetto Life Ursus in Trentino.
Nato oltre 15 anni fa con il rilascio nell'areale del parco Adamello-Brenta di una decina di plantigradi provenienti dalla Slovenia, il Progetto Life Ursus ha avuto in Trentino un buono sviluppo. In pochi anni la comunità di orsi si è radicata, allargata nel numero (solo quest'anno si registrano sette nuove cucciolate, per almeno una dozzina di giovani esemplari), proliferata grazie anche alla buona politica di gestione seguita dal Parco naturale e dalla Provincia.
Rispetto al progetto iniziale e al piano d'azione per la conservazione dell'orso bruno sulle Alpi (Pacobace), le cose sono però andate diversamente dal previsto. Innanzitutto l'orso si è moltiplicato con una relativa facilità, tanto che oggi si parla in Trentino di varie decine di esemplari (50-70?).
In secondo luogo si è verificata la concentrazione dei plantigradi in un'area molto ristretta tra il Brenta e la Paganella, altamente antropizzata, a fortissima vocazione turistica in molti periodi dell'anno. La prevista diffusione degli esemplari sul territorio alpino per osmosi non è avvenuta, e l'animale non si mai avventurato al di là dell'Adige. L'abitudine da parte dell'orso al contatto con l'uomo e la facilità di approvvigionamento di cibo muovendosi nelle vicinanze del territorio abitato dalle persone ha reso l'incontro con il plantigrado estremamente più frequente, e soprattutto ha portato gli orsi a prendere confidenza - ormai fin troppa - con la presenza umana. Con tutto ciò che ne consegue. L'episodio di Cadine, il più violento fino ad oggi accaduto, segna a questo punto uno spartiacque.
Non si tratta di rinnegare il Progetto Life Ursus, né di «estirpare» la presenza dei plantigradi sul territorio trentino. Ma di stabilire delle regole precise, e dei limiti ben chiari alla presenza dell'orso e al numero di esemplari sostenibili in provincia di Trento questo sì, ormai è indispensabile. Nell'avvio del Progetto non era stato chiarito tale aspetto, cioè quanti esemplari possono convivere con l'uomo in un territorio boschivo di 3.300 chilometri quadrati, che si restringono a 60 dell'attuale areale Adamello-Paganella. Questo va con urgenza sancito, tenendo presente il tasso di crescita esponenziale della specie, e il continuo raddoppio ogni cinque anni a meno di contenimenti indotti.
Accertata la quota sostenibile, delle due l'una: o si prelevano gli esemplari in soprannumero e si trasferiscono in altre aree dell'arco alpino, garantendo la conservazione dell'orso bruno sulle Alpi come previsto da politiche nazionali ed europee. O, in caso di rifiuto di altre province e regioni ad accogliere esemplari di orso, bisognerà procedere all'abbattimento, come avviene per ogni specie animale in sovrannumero, e attualmente previsto anche nella Provincia autonoma di Trento per gli ungulati con specifici interventi di selezione.
Del resto in Slovenia il piano di prelievo degli orsi in base all'evoluzione demografica è prassi consolidata, e ogni anno almeno una sessantina di esemplari viene presa in custodia, e in caso di emergenza abbattuta.
L'orso in Trentino non è più una questione provinciale, che riguarda le comunità locali interessate al fenomeno. È ormai una questione nazionale, e richiede un cambio di regole - urgente e di prospettiva - a livello congiunto, Provincia e Ministero.
Il delirio scatenatosi con la morte accidentale di Daniza, l'estate scorsa, e gli epiteti e le contumelie fioccati sulla comunità trentina da tutta Italia da parte di invasati, che della montagna poco o nulla sanno tranne averla vista forse nei cartoni animati di Heidi, richiedono oggi un cambio di passo e un modo diverso di guardare alla questione orso da parte del governo centrale, del ministero dell'ambiente e dell'intera opinione pubblica nazionale.
Il primo più urgente intervento è il via libera, per ragioni di sicurezza e incolumità dell'uomo, all'abbattimento degli esemplari pericolosi, come ormai l'orso di Cadine ha dimostrato di essere.
In secondo luogo, la definizione a livello congiunto con Roma della quantità «sopportabile» di orsi che il territorio trentino può consentire, oltre la quale scatta la cattura dei plantigradi in eccesso.
La rapida diffusione dell'orso nell'area Adamello-Brenta ha accertato che vi è una spiccata capacità ambientale ed ecologica delle nostre montagne a garantire la vita selvatica dei plantigradi; e questo è un indubbio segnale, molto importante anche dal punto di vista turistico, di qualità dell'ambiente e del territorio trentino.
Ma ha altresì dimostrato che, prima di varare o nel portare avanti progetti del genere, occorre valutare anche la sopportabilità sociale dell'introduzione di specie selvatiche. Questo vale per l'orso, ma pure per un altro intervento che si sta conducendo in Trentino, l'immissione dei lupi. Occorre oggi misurare quanto - e in quanti esemplari - è sostenibile, prima di arrivare troppo tardi a misurarne la proliferazione, e la non tollerabilità sociale della sua presenza in grande numero sulle nostre montagne. Anche perché il lupo, a differenza dell'orso, si muove in branchi, e il malcapitato che dovesse venire assalito potrebbe non risultare così fortunato come Wladimir Molinari che, pur sanguinante da un letto di ospedale, ha potuto raccontare la sua «avventura».
Quanto è avvenuto l'altro giorno a Cadine ha segnato il superamento della soglia: se la questione orso non viene presa in mano con forza e determinazione a livello nazionale come locale, il rischio di conseguenze, anche gravi, è prossimo. La percezione di insicurezza che ormai si respira nelle vallate e nei boschi trentini è un campanello d'allarme che non può più essere ignorato. Molto più forte dei campanellini scaccia-orsi suggeriti dall'assessorato.
p.giovanetti@ladige.it