Torna la gioia dell’incontro

Torna la gioia dell’incontro

di Eliana Agata Marchese

Siamo pronti. Siamo veramente pronti. Nessuno ha capito fino in fondo la fase 2, tranne che sarà fondamentale avere la mascherina sempre appresso, un po’ come le catene da neve in inverno. Indossarla in bicicletta no, a piedi sì.

Possiamo comprare il gelato in vaschetta, ma senza fermarci a mangiarlo sui marciapiedi. Possiamo andare al parco, ma non far salire i bambini sullo scivolo. E in questo labirinto di ordinanze e divieti, con la mascherina siamo diventati professionisti. A volte la possiamo spostare sotto il mento, modello soggolo monacale, in continuità con l’idea della clausura. Oppure in testa, simile ad un vezzoso cerchietto. Che si scelga l’una o l’altra opzione, la velocità sarà fondamentale: al momento opportuno, nel fortuito incrocio con un nostro simile e continuando a pedalare, dobbiamo esser pronti a coprire naso e bocca con destrezza da rapinatore.

Come professionisti abbiamo anche imparato a misurare le distanze: quando si avvicina il nostro simile, mascherato anche lui, iniziamo a scansarci lentamente. Entriamo nell’invisibile area di sicurezza a costo di scalare marciapiedi, muretti, terrapieni. Ma l’incredibile paradosso è che all’erta, mascherati, distanti, stiamo comunque riscoprendo la gioia dell’incontro: «Siamo usciti anche noi - mi scrive un’amica - abbiamo incontrato tanta gente. È stato fantastico. Ad un certo punto mi veniva da piangere». Luciano sperimenta subito l’emozione: la prima persona che incrociamo, appena messo il naso fuori casa, è una sua compagna di scuola materna.

E non una bambina qualsiasi: loro si definiscono “sposati”. Appena la riconosce in lontananza, mio figlio preso da emozione paralizzante. Arrossisce, abbassa la testa e sussurra un timido «ciao» alle proprie scarpe. La bambina si limita a guardarlo. Lui rimane immobile; io mi sistemo bene la mascherina e penso che vorrei portare la sua amica a casa: che Luciano ogni tanto si fermasse non sarebbe male. Nel frattempo chiacchiero con l’altra mamma: come state, guarda come sono cresciuti i bambini, speriamo che si possa tornare presto a scuola. Più che una mascherina ci vorrebbe un megafono, visto che stiamo entrambe molto attente a non muovere un passo, ma in questo periodo di reclusione mi mancano perfino i convenevoli da mamma all’uscita dell’asilo.

Ci allontaniamo e Luciano recupera la favella. Scusa un attimo - gli chiedo, piccata per finta - ma non ero io la tua fidanzata? Sgrana gli occhi: «Mamma, tu sei il mio amore di casa. A scuola invece è lei» annuncia col tono di chi dà una notizia inevitabile. Poi prosegue: «Non vedo l’ora di rivedere tutti i miei amici e di poterli abbracciare. Mi faranno gli auguri per il compleanno, mi tireranno forte le orecchie; ci sarà una grande festa e mangeremo le patatine bianche». Certo, Luciano. Senza patatine bianche che festa è? Ma non faccio in tempo a dirglielo. Acchiappa un bastone, si rimette a correre e urla: «Eccomi, arriva Voldemort!». Corro anch’io, dietro di lui.

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