Tra scienza e bufale: i test per scoprire le intolleranze alimentari
La sensazione che ci sia qualche cibo che incida sulla nostra salute è ormai diffusa, in parte giustificata, visto la frequente reattività a lattosio e glutine. La ricerca di qualche esame in grado di confermare se questa sensazione sia reale, ci porta a confrontarci con diversi test. Alcuni affidabili ed altri che di scientifico hanno poco o nulla.
Le intolleranze sono spesso confuse con le allergie alimentari. Queste ultime sono reazioni immunitarie di tipo immediato, dovute ad anticorpi IgE, e possono causare sintomi anche gravi.
Le intolleranze alimentari, invece, sono reazioni lente che possono derivare da carenze enzimatiche, come l’intolleranza al lattosio, o sensibilità a componenti specifici degli alimenti. Le intolleranze dovute ad anticorpi del tipo IgG e soprattutto IgG4 rientrano in questa seconda categoria e sono caratterizzate da una risposta immunitaria ritardata, che può manifestarsi ore o giorni dopo l'ingestione di un alimento. Si sviluppano in risposta all'esposizione prolungata a determinati componenti alimentari.
La loro presenza ad alti livelli può essere la conseguenza di una assunzione frequente di un alimento o indicare, invece, che si è sensibili a un alimento specifico. Le IgG4 determinano una risposta lenta e meno intensa, ma che può provocare sintomi persistenti. L'attivazione delle IgG determina un’infiammazione di basso grado che può contribuire all’insorgenza e al mantenimento di una serie di sintomi che possono interessare l’intestino o altre parti del corpo, come dolori addominali, gonfiore, emicrania, dolori muscolari e articolari, affaticamento cronico e disturbi della pelle.
La persistenza di questi sintomi può avere un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti e spesso non risponde ai normali trattamenti farmacologici. Esistono oggi diversi test, accurati e riproducibili, scientificamente dimostrati, per valutare la presenza di anticorpi diretti contro componenti alimentari. Le intolleranze alimentari sono causate, a livello intestinale, dal consumo ripetuto nel tempo di uno o più alimenti nei confronti dei quali l’organismo si sia sensibilizzato. Questo è il motivo per cui gli alimenti più frequentemente positivi nelle nostre zone sono il latte e derivati e il frumento.
Se analizziamo la letteratura scientifica scopriamo dati molto interessanti. Già nel 2008 in uno studio effettuato dall’Università di Padova era stata valutata l’utilità dei test per la ricerca di anticorpi nel sangue (IgG4) nella gestione dei pazienti affetti da intolleranza alimentare. lo studio evidenziava non solo che esisteva una buona concordanza tra il livello di questi anticorpi e i sintomi dei pazienti, ma anche e soprattutto che il test aveva «soddisfacente valore predittivo negativo». Traducendo: se il test è negativo, la presenza di una intolleranza di questo tipo può essere praticamente esclusa.
Perché gli anticorpi IgG4? Questi sono anticorpi considerati di blocco, contro alimenti particolarmente allergizzanti o assunti troppo frequentemente, proteggendo l’organismo dalla formazione di allergie vere e proprie. La loro positività contro uno o più alimenti potrebbe evidenziare una vera e propria intolleranza, o anche, come evidenziato da studi recenti riguardanti le malattie infiammatorie intestinali come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, indicare semplicemente che l’intestino è molto infiammato.
Quindi, se si vedono test con positività a molti alimenti, non vuol dire che si è intolleranti a quasi tutto, ma che è presente un'infiammazione intestinale e quindi va cercata la causa e trattata. Ricordo di test dove gli alimenti erano quasi tutti positivi, e alla fine, dopo ulteriori esami, il paziente risultava essere celiaco. In questi casi anche eseguire esami che evidenziano una aumentata permeabilità intestinale può essere importante. Chiaramente l'uso del test IgG4 deve essere limitato ai pazienti che presentano sintomi cronici non spiegabili da altre cause.
Deve sempre essere valutato da personale esperto, in grado di elaborare un programma alimentare personalizzato, evitando diete troppo strette che potrebbero determinare un beneficio iniziale ma portare nel tempo ad ulteriori problemi o deficit di nutrienti, oltre che a ulteriore stress.
Una eliminazione completa per tempi prolungati dell’alimento non solo non è consigliata, ma risulterebbe nella maggior parte dei casi dannosa per il microbiota e la salute (Niaid 2016). In un prossimo articolo vedremo in modo più preciso i principali campi di utilizzo e alcune informazioni sulla dieta di desensibilizzazione.
Fabio Diana
Specialista in Medicina Interna e Medicina dello Sport
www. fabiodiana.it