Allerta Fbk, rischia il disastro
Troppa politica in Fbk. Il progetto dell'Itc (Istituto trentino di cultura, che oggi si chiama Fondazione Bruno Kessler) del compianto rettore Fabio Ferrari «è stato un po' annacquato». «La politica dovrebbe dare gli indirizzi della ricerca, ma per dare gli indirizzi dovrebbe conoscere la cartina geografica. Qualche volta la conosce e qualche volta no». E ancora in merito alla regia della Provincia: «Sulla Fondazione Kessler e i rapporti con il consorzio Trento Rise si rischia il disastro»
Troppa politica in Fbk. Il progetto dell'Itc (Istituto trentino di cultura, che oggi si chiama Fondazione Bruno Kessler) del compianto rettore Fabio Ferrari «è stato un po' annacquato». «La politica dovrebbe dare gli indirizzi della ricerca, ma per dare gli indirizzi dovrebbe conoscere la cartina geografica. Qualche volta la conosce e qualche volta no». E ancora in merito alla regia della Provincia: «Sulla Fondazione Kessler e i rapporti con il consorzio Trento Rise si rischia il disastro». E la Scuola di medicina? «Progetto non condiviso, lacunoso nei contenuti, incerto nei risultati. E costoso: la Medical School costerebbe 20 milioni all'anno. Non dico che sia sbagliato in sé, ma si deve pensare, senza inutili accelerazioni». La riforma dell'ateneo? «La provincializzazione ha portato vantaggi anche a chi l'ha criticata». Parole e musica del rettore uscente Davide Bassi . Una sinfonia, la sua, non sempre piacevole, ma l'uomo è fatto così e chi lo ha conosciuto sa che il fisico di origine genovese non conosce mezze misure. L'ormai ex Magnifico lascia il posto a Daria de Pretis (per lei un mandato unico di 6 anni) nel palazzo di via Belenzani. La docente di diritto amministrativo prenderà possesso dell'ufficio nei primi giorni di aprile: il tempo necessario per ritinteggiare le pareti e per il passaggio delle consegne. «Ho già consegnato i dossier con le questioni aperte» dice Bassi, che chiude l'esperienza al vertice dell'Università dopo nove anni e una riforma, la famosa «provincializzazione», portata a termine in un mare di polemiche. «Ma il tempo sarà galantuomo» dice lui. Dopo due mandati di quattro anni ciascuno (più uno di proroga per via della legge Gelmini) - dall'1 novembre 2004 all'1 aprile 2013 - Davide Bassi, classe 1948, pensa a cosa farà da grande: resta alla presidenza della Fondazione Pezcoller (ente senza dedicato alla promozione scientifica per la lotta contro le malattie, il cancro in particolare); proseguirà l'attività di ricerca a Barcellona; siede nel board dell'Università svizzera a Lugano; lascia la sua poltrona all'interno del cda di Fbk; farà attività di consulenza sul tema delle organizzazioni universitarie in Francia e Svizzera (era stato chiamato anche in Cina ma ha declinato l'invito); si dedicherà all'agricoltura («Spalerò letame in Valsugana» aveva detto a fine anno e non era uno scherzo, visto che la compagna ha campagna a Ivano Fracena) e scriverà un libro. Titolo provvisorio «101 mesi da rettore».
E poi magari un incarico politico? Scenderebbe (o salirebbe come usano dire i Montiani) in politica?
«Non salirei né scenderei. Io sono quello che a livello nazionale ha proposto un "termine di grazia" tra cariche accademiche e cariche politiche. Troppi i rettori che hanno lasciato la propria Università per andare a fare politica».
Il discorso vale anche per il suo amico Francesco Profumo, ministro dell'istruzione e dell'università nel Governo Monti? O non vale perché si tratta di un governo tecnico?
«Potremmo discutere su quanto tecnico è il governo. Lasciamo stare la domanda. Sono troppo amico di Profumo».
La sua è anche una critica al bocconiano Mario Monti?
«Ho sempre detto che non si deve mescolare l'accademia alla politica. Lo stesso vale per i magistrati che passano alla politica. Si deve far passare almeno un po' di tempo».
Alla fine del suo secondo mandato, può dire di aver commesso degli errori?
«Certe cose forse le avrei fatte in modo diverso. Solo gli stupidi pensano di non aver commesso errori, ma con la provincializzazione io ho messo l'Università in sicurezza».
Non la pensano così i docenti che l'hanno tanto criticata negli ultimi mesi.
««Anche i colleghi e le colleghe che hanno osteggiato la riforma hanno avuto enormi benefici. Con le regole nazionali sul turnover 200 persone (fra personale docente e amministrativo) sarebbero rimaste a casa».
Nell'operazione statuto e riforma lei è andato allo scontro con Giurisprudenza, che alle elezioni del rettore si è compattata sul nome di Daria de Pretis.
«Il compattamento su un nome da parte di una facoltà è la normalità. Lo scontro con una parte di Giurisprudenza c'è stato in passato quando qualcuno non voleva l'investimento su Neuroscienze e su Biotecnologie. Ma io ho fatto bene ad andare avanti. Un'università ferma è un'università morta. L'arroccamento nell'esistente è un errore gravissimo».
Qual è il rimpianto maggiore?
«Il fallimento è quello della mancata realizzazione della biblioteca di ateneo».
È un fallimento che lei imputa anche al Comune di Trento.
«C'è un ruolo che ho ricoperto, quindi il responsabile sono io. Che poi il Comune di Trento abbia di fatto sabotato il progetto è un'altra storia».
Spesso si sente dire che il rapporto tra Università e trentini non è dei migliori.
«Sapete quante signore pensionate mi hanno scritto per lamentarsi del baccano prodotto dagli studenti nelle ore notturne? Ma adesso i trentini sono orgogliosi della loro Università. Qui ci sono 16 mila studenti. Chiaro che se ci sono 100 giovani che fanno baldoria in un condominio i residenti non sono contenti, ma non dimentichiamo che la città di Trento, con la presenza di studenti non trentini, ogni anno, guadagna 100 milioni di euro».
Negli ultimi tempi sono stati gli imprenditori (e i vertici di Confindustria) a muovere critiche all'Università «troppo chiusa in se stessa, lontana dal mondo del lavoro».
«Alcune critiche sono state anche grossolane, con scambi anche vivaci. Tutto nasce dal fatto che la laurea triennale anziché essere uno strumento per creare professionisti per le imprese è stata stravolta dalla legislazione, diventando propedeutica al biennio di specializzazione. Io sono invece per il doppio binario, per il metodo tedesco. Ma a livello nazionale sono rimasto inascoltato. Troppa paura di perdere studenti. Troppe chiusure ideologiche».