Per qualche giorno alle ex caserme delle Viote 47 profughi La storia di Asadullah «Sono afgano, scappo dai talebani»
Vengono da Pakistan e Afghanistan e mercoledì sono stati trasferiti dal centro di accoglienza di Marco alle ex caserme delle Viote. Si tratta di 47 persone, tutti uomini, la maggior parte molto giovani, tra i venti e i trenta anni, che si fermeranno ancora per qualche giorno nella struttura, prima di fare ritorno in Vallagarina. Insieme a loro ci sono alcuni operatori di varie associazioni che fanno riferimento a Cinformi, con il compito di organizzare e gestire la permanenza di questi profughi. Al primo piano delle struttura sono state allestite delle camerate, mentre al piano terra ci sono la cucina e un refettorio dove vengono consumati i pasti. All'esterno un piazzale e, sul retro, un prato con due piccole porte da calcetto, probabilmente il luogo più frequentato da queste persone.
Quando giungiamo sul posto alcuni profughi stanno sparecchiando la tavola e pulendo la cucina. Altri fumano la sigaretta del dopo pranzo e altri ancora chiacchierano tra di loro su un prato. I cellulari prendono pochissimo quassù. Non ci sono bar nei dintorni, solo boschi e prati. A parte loro, la prima anima viva si trova parecchio distante: o a Garniga, scendendo, o a Vason, salendo. Lontanissimi dal loro Paese e lontanissimi da tutto, in cima al Bondone, totalmente isolati. La situazione è tranquillissima: queste quarantasette persone non sono in gita e non sono in vacanza, anzi, probabilmente non sanno nemmeno esattamente dove sono. Semplicemente attendono, aspettano. Tra qualche giorno verranno riportati a Marco e poi attenderanno una nuova collocazione o proseguiranno il proprio viaggio.
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La notizia del loro arrivo alle Viote non è stata diffusa ufficialmente, probabilmente perché si tratta di una permanenza provvisoria. Chi ha diffuso la notizia è la Lega Nord del Trentino, attentissima agli spostamenti dei profughi. In un comunicato firmato da Maurizio Fugatti e Bruna Giuliani si parla di come le «ex caserme imperiali alle Viote siano state dotate di brandine e nuove cucine e destinate a circa 30 profughi arrivati pare dal centro della protezione civile di Marco circa due giorni fa». I due consiglieri, provinciale e comunale, proseguono: «Questi passeggiano tranquillamente sul Bondone come villeggianti! È inopportuno ospitare un numero così elevato di profughi in un paese che conta circa 300 abitanti. L'amministrazione non può rilanciare il turismo della zona con l'orso e con i profughi, entrambi deterrenti per locali e turisti». Il paese di Garniga Terme, distante più di otto ripidissimi chilometri dalla struttura, stando alle parole del sindaco Valerio Linardi non pare essersi nemmeno accorto dell'arrivo e della presenza di queste persone: «Credo che in paese pochi sappiano che ci sono alcuni profughi nella struttura. A me nessuno dei cittadini ha chiesto nulla e nessuno si è lamentato. Non segnaliamo alcun tipo di problema». Alle ex caserme, intanto, a metà pomeriggio ecco comparire un pallone. Due minuti e si organizza una partitella: niente scarpe con i tacchetti ma ciabatte, poca classe nei piedi ma agonismo e corsa non mancano. I «villeggianti» sul Bondone non si fanno foto ricordo e non mandano cartoline ai parenti. Danno solo due calci al pallone, in attesa. Perennemente in attesa.
LA STORIA DI ASADULLAH
[[{"type":"media","view_mode":"media_large","fid":"557291","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"461","style":"float: right;","width":"480"}}]]Asadullah ha vent'anni. Capelli cortissimi, occhi di quel colore che fa impazzire le ragazze, tra il verde e l'azzurro, un metro e settantacinque, fisico non palestrato ma comunque in forma. È afgano, della provincia di Konduz. Un posto dove non potrà mai più tornare, almeno finché lì ci saranno i talebani. Dopo essere stato al centro di Marco, in questi giorni è stato portato alle ex caserme delle Viote. Mentre stiamo guardando l’improvvisata partita a calcetto che si svolge nel piccolo prato dietro l’ingresso della struttura, si avvicina timidamente, ci dà la mano e ci saluta. «Io non gioco, non sono bravo e poi si prendono botte alle gambe».
Conosce qualche parola di italiano, ma soprattutto parla un discreto inglese. Gli spieghiamo che siamo dei giornalisti e che ci piacerebbe conoscere la sua storia. Ci sorride, dice «no problem» facendo spallucce e inizia a raccontare. «Sono arrivato a inizio agosto in Italia, dopo essere stato in Grecia e dopo quasi tre mesi di viaggio, in macchina, in autobus e a piedi. Dall’Afghanistan sono partito a maggio, ma non ricordo precisamente la data. Ho raccolto un po’ di soldi dalla mia famiglia, ho messo nella borsa qualche vestito e sono partito». A quel punto ci chiede la penna e inizia a scrivere sulla mano dei numeri. Gli offriamo il block notes, ma rifiuta, preferendo la propria mano. Inizia a fare dei calcoli e poi ci dice soddisfatti: «Sono partito con circa 500 dollari, ma non so esattamente quanti euro siano. Mi sono preso un telefonino cellulare, per il resto nella mia borsa non c’è nulla, solo qualche abito e un po’ di musica. Mi piace molto la musica. La settimana scorsa da Marco sono riuscito a telefonare alla mia famiglia: sono stato felicissimo di sentirli dopo tanto tempo».
Da un mese e mezzo Asadullah è in Trentino. Che tipo di accoglienza ha trovato? «Molto buona - ci dice alzando il pollice - sono stati tutti molto gentili e buoni con me. Da qualche giorno siamo qui in montagna, ma sono montagne molto diverse da quelle dell'Afghanistan: qui ci sono alberi, da noi no, anche perché i talebani hanno distrutto tutto. Non so dove andrò: mi piacerebbe restare in Italia, ma quello che è certo è che nel mio Paese non posso tornarci. I talebani mi chiederebbero «Dove sei stato? Perché sei andato via?» e senza aspettare la risposta, zac» e ci fa l'inequivocabile gesto di una testa mozzata. E aggiunge: «A big knife, you know?». Un grande coltello, capisci? E rifà il gesto. «La mia famiglia, compresi i due fratelli piccoli, sono ancora lì. Il mio sogno? Portarli con me. Io posso lavorare, so fare tante cose, sono giovane». Intanto? «I don't know, I wait». Non lo so, aspetto. Ma nel tuo Paese come è la situazione? Cosa si potrebbe fare? «Io penso che se gli americani avessero voluto in due settimane avrebbero sconfitto totalmente il regime dei taliban. Però non l’hanno fatto. Negli ultimi anni tantissime nazioni del mondo sono venute nel mio Paese con varie missioni militari e umanitarie, ma il problema continua a persistere». Take care Asadullah, good luck.