Altana di caccia abusiva, gli imputati se la cavano
Si è chiuso con una sentenza di «non luogo a procedere» - dunque un proscioglimento - il procedimento giudiziario nei confronti di due residenti a Cimone che avevano avuto l'idea (con il senno di poi pessima) di costruire un capanno per la caccia agli ungulati del tipo "altana". Un'opera che è costata ai due imputati quattro anni di grattacapi giudiziari, con tanto di procedimento penale per furto di alberi e abuso edilizio che si è concluso a lieto fine grazie all'esito positivo della messa in prova dopo una generosa dose di lavoro volontario.
I due erano accusati di essersi impossessati di 12 piante (6 di abete rosso e 6 di larice) abbattute in un bosco del Comune di Cimone in località Palù S. Anna. I tronchi, debitamente scortecciati e ripuliti dai rami, venivano poi utilizzati per costruire il capanno. Il manufatto "incriminato", come descritto nel capo di imputazione, era realizzato «in calcestruzzo seminterrato delle dimensioni planivolumetriche di circa 3,5 per 2,5 metri con altezza di un metro nel quale erano stati cementati 4 tubi di materiale plastico al cui interno erano stati collocati altrettanti tronchi di abete rosso alti circa 15 mestri». Non si trattava di un'agile struttura lignea per la caccia, ma di qualcosa di ben più impattante. Ciononostante gli imputati hanno sempre sostenuto di aver agito in perfetta buona fede, convinti di aver prelevato i tronchi da suolo privato e di non aver avuto bisogno di alcuna autorizzazione edilizia.
La buona fede secondo la difesa era comprovata anche dal fatto che alla fine del novembre 2011 era stato uno degli imputati a contattare la forestale per informare della costruzione del capanno la cui presenza veniva poi dichiarata anche al Comune.
Si trattava però di un abuso con furto di alberi, reati dichiarati estinti grazie al volontariato fatto dagli imputati nel sociale.