Pensionato riceve 46mila euro per errore L'Inps rivuole i soldi, ma i giudici dicono no
Scusi, ci siamo sbagliati, lei deve restituirci 46.533,40 euro. Le parole usate dall’Inps non erano proprio queste, ma la sostanza non cambia
Scusi, ci siamo sbagliati, lei deve restituirci 46.533,40 euro. Le parole usate dall’Inps non erano proprio queste, ma la sostanza non cambia: l’ente previdenziale ha chiesto ad un operaio agricolo trentino la restituzione di quasi 50mila euro, indebitamente erogati nella liquidazione provvisoria sulla pensione.
Tutta colpa di un «errore», rilevato però quasi cinque anni dopo. Ma l’ex lavoratore potrà tenersi quel «regalo» inatteso: la Corte d’appello di Trento, sezione per le controversie di lavoro, ha infatti accolto il ricorso presentato attraverso l’avvocato Giovanni Guarini e stabilito che l’Inps non ha diritto a riavere quel denaro. L’indebita percezione, questo non è in discussione, c’è stata, ma la richiesta di restituzione sarebbe di fatto arrivata fuori tempo massimo: dopo quasi cinque anni, infatti, il pensionato era legittimato a ritenere che la pensione fosse corretta. E allora chi pagherà? Il contribuente? No, la legge prevede che in casi di dolo o colpa grave l’Inps possa addebitare il mancato recupero della somma al funzionario responsabile.
Protagonista della vicenda un pensionato trentino, ex operaio agricolo, che dal 1° gennaio 2008 al 30 novembre 2012 ha ricevuto più di quanto avrebbe dovuto. Per l’esattezza 2.057,67 euro lordi, anziché 1.408,86. Da qui la richiesta di restituzione degli oltre 46mila euro. E il giudice Flaim, in primo grado, aveva ritenuto la richiesta dell’Inps legittima, vista l’indicazione sul provvedimento di liquidazione del termine «provvisorio». Circostanza che, per il giudice, rendeva inapplicabile quanto stabilito dall’articolo 52 della legge del 9 marzo 1989, n°88 (Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) per i provvedimenti definitivi, laddove prevede che, in caso di riscossione di rate di pensione non dovute, «non si da luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato».
Ma in questo caso la difesa del pensionato lamentava proprio che il termine «provvisorio» venisse usato per dilatare di fatto senza limiti la possibilità dell’Inps di rimediare ad eventuali errori e che il ricalcolo della pensione fosse avvenuto solo nel 2012, nonostante l’Inps avesse a disposizione tutti i dati necessari, relativi ai due anni precedenti al pensionamento trasmessi dal datore di lavoro.
Ma perché l’uomo ha percepito più soldi? La rata, come spiegato dall’Inps, venne determinata sulla base del calcolo non esatto della retribuzione degli ultimi anni di contribuzione. In particolare, la cifra precisa non sarebbe confluita nell’archivio telematico fiscale. Quello che per i giudici è certo, però, è che «l’errore nella liquidazione provvisoria è stato esclusivamente dell’Istituto». Un errore «corretto 56 mesi dopo l’attribuzione “provvisoria”, ovvero 4 anni e 8 mesi dopo». Ma c’era un nodo - è su questo la sentenza rappresenta un importante precedente - ovvero la provvisorietà della liquidazione.
Circostanza che per i giudici di secondo grado rende comunque applicabile la norma generale, dal momento che il ritardo nelle verifiche condotte «non è assolutamente giustificabile, essendo i redditi consultabili e verificabili dall’Istituto su cartaceo quanto meno dal giugno 2008». Per parte sua il pensionato, avendo percepito quelle somme per quasi cinque anni, era legittimato a credere che fossero corrette. Non solo. Rispetto all’ipotesi - sollevata dall’Inps - che il pensionato fosse consapevole di un errore nella liquidazione del trattamento pensionistico - i giudici ricordano che l’uomo segnalò più volte un errore nell’indicazione del reddito dell’ultimo anno. Ma nel 2009, all’assicurato che si rivolse allo sportello, venne risposto «che con i dati disponibili i calcoli andavano bene così».