Il viaggio in Tibet: mamma e amici per ricordare Andrea Zambaldi
Andare lassù, a un passo dal cielo, per essere il più vicino possibile al loro Andrea. Lassù, per vedere, capire e provare a chiudere quel maledetto cerchio.
Che chiuso, in realtà, non lo sarà mai. Lassù, dove il dolore sarà più forte ma si potrà respirare la stessa aria che ha respirato Andrea e si potrà camminare sulla stessa strada che ha percorso Andrea. Sono partiti ieri alla volta del Tibet Nadia, Lorenzo e Beatrice, mamma e amici di Andrea Zambaldi, scomparso alla fine settembre del 2014 durante l'ascensione allo Shisha Pangma, 8.027 metri, in Tibet.
Un viaggio che in realtà è iniziato due anni fa, proprio da quel maledetto 24 settembre, quando in Italia giunse la terribile notizia: una valanga, a pochi metri dalla vetta, travolse l'alpinista di Verona, ma che con Trento aveva legami fortissimi, per averci vissuto, studiato e lavorato. Ora il viaggio diventa realtà e i tre seguiranno l'itinerario dei monasteri, verso il campo base dell'Everest e poi verso quello "avanzato" dello Shisha Pangma.
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«Speriamo possa essere un modo per fare i conti, ciascuno a proprio modo, con questo dolore - ha spiegato all'Arena di Verona Lorenzo Caramazza, amico e compagno di avventure di Zambaldi -. "Si è sempre detto che per chi ama la montagna non ci sia posto migliore dove riposare per sempre... ma non è cosa facile, per i familiari e per gli amici, accettare tutto questo. Ci proviamo con questo viaggio, in cui cercheremo le risposte nella parte più interna di noi».
Così con una valigia carica di coraggio, ricordi, emozioni, aspettative, i tre si sono imbarcati e hanno iniziato il lungo viaggio per arrivare il più vicino possibile al loro figlio e amico. Arrivare lassù, sulla «Cresta sui Pascoli», il nome in lingua tibetana dello Shisha Pangma, o sul «Luogo dei Santi», come lo chiamano i nepalesi, non sarà facile, fisicamente ed emotivamente. Ma poi, lassù, Andrea sarà più vicino.
Un video per ricordare «Zamba»
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Il dramma in Tibet.
Gli ultimi messaggi inviati direttamente dallo Shisha Pangma, uno degli 8 mila del Tibet, parlavano di cumulo di neve e pericoli valanghe. Poi ieri mattina la telefonata al papà. «Andrea è stato sepolto da una valanga. Lo stiamo cercando». Andrea è Andrea Zambaldi, 31 anni, nato a Milano, molti anni vissuti a Trento, ex gestore del negozio di sport in via Lung'Adige Leopardi, e ora da un anno residente per lavoro a Bolzano. Uno sportivo a 360 gradi, un appassionato alpinista, un esperto nel campo.
Il 20 agosto era partito insieme ad altri due alpinisti tedeschi per una spedizione decisamente particolare: salire in sette giorni due cime alte più di 8000 metri,Shisha Pangma (8027 metri) e Cho Oyu (8201 metri) percorrerendo in mountain bike i 170 km che separano i campi base. Ieri mattina la chiamata al papà, il trentino Pier Alberto Zambaldi, agente di commercio che ora vive a Verona. A telefonare è stato direttamente uno dei compagni di spedizione che erano insieme al figlio. In un misto italiano e tedesco ha cercato di comunicare con il telefono satellitare quanto era accaduto. Ora la speranza è ovviamente appesa ad un filo. Si cercano conferme là, sul tetto del mondo, sull'altopiano con un'altitudine media che supera i 4 mila metri e che dista 25 ore d'aereo dall'Italia. Dalle prime notizie pare che la valanga sia scesa quasi a quota 8 mila. Zambaldi era insieme ai tedeschi Sebastian Haag e Martin Maier, tutti della spedizione «Double 8 Expedition» e stavano salendo verso la cima dopo un primo tentativo fallito per le cattive condizioni della neve e per il vento. Riprovavano ieri. Con loro anche Benedikt Bohm e Ueli Steck, un fuoriclasse delle vette conquistate sul filo del cronometro, noto come «The swiss machine», l'uomo che ha affossato i record di salita «free solo». Le due cordate, seguendo una strategia precisa, si sarebbero alternate nel battere la pista di salita. Haag e Zambaldi sarebbero rimasti dispersi dopo essere precipitati per 600 metri, Maier si sarebbe invece salvato e avrebbe chiamato casa. Le notizie arrivano direttamente dall'ufficio stampa della Dynafit, azienda per la quale Zambaldi lavora e che ha sponsorizzato la spedizione. Il distacco si sarebbe verificato a un centinaio di metri dalla vetta.
Secondo quanto è stato possibile ricostruire i cinque alpinisti avevano iniziato la scalata verso la vetta in momenti diversi. Mentre Böhm e Steck partivano insieme dal campo base avanzato, Haag si trovava già al campo 1, Maier e Zambaldi al campo 2. Poi si erano riuniti a circa 7100 metri di quota all'1 del mattino del 24 settembre, e alle 2 erano al campo 3 a 7300 metri. Haag, Zambaldi e Maier procedevano per primi quando alle 6 e 55 del mattino si è staccata la valanga a circa 7900 metri di quota. I tre sono precipitati per 600 metri. Böhm e Steck hanno immediatamente chiamato il campo base mentre scendevano al campo 3 lungo la stessa via di salita per cercare di attraversare la zona della valanga. Maier è sopravvissuto ed è riuscito a raggiungere campo 3 in autonomia e ieri mattina è stato raggiunto e soccorso da un team di sherpa con i quali è sceso verso il campo base. Haag e Zambaldi invece sono rimasti dispersi nella valanga. Il penultimo messaggio di Andrea era arrivato alle 22 e 57 di mercoledì mentre raggiunta quota 7.750 metri tentava insieme ai compagni l'avvicinamento alla vetta.
«La neve rende l'avanzata molto dura - si legge - . Nelle parti più ripide si sprofonda fino all'anca o al torace. Tra poco vedremo l'ultima parte dello Shisha Pangma. Speriamo che la montagna ci dia una possibilità di salita». Dello stesso tenore quello di Benedikt Böhm giunto alle 3 di notte: «Combattere, combattere, combattere. Cumuli di neve e ad alto rischio di valanghe? frustrante!». Infine l'ultimo messaggio di Andrea è delle 5 del mattino: «È davvero faticoso! I miei polmoni sono affaticati. Ci sono un sacco di crepacci, dobbiamo stare molto attenti mentre sciamo per scendere».