La Kyenge bacchetta i trentini sullo Ius Soli
Ieri in Val di Non per un incontro pubblico con gli studenti, l'ex ministro dell'integrazione - e oggi europarlamentare del Pd - Cécile Kyenge sapeva benissimo di essere in Trentino Alto Adige. La terra il cui Consiglio regionale - la scorsa settimana - ha approvato una mozione di Walter Kaswalder, appoggiata dal centrodestra ma anche dalla Svp, che impegna i presidenti Kompatscher e Rossi ad esprimere contrarietà all'approvazione della ius soli, legge di cui Kyenge è stata promotrice.
Non si è tirata indietro quando le abbiamo chiesto un commento. «È triste, perché oggi abbiamo bisogno di una classe dirigente lungimirante, la popolazione sta cambiando ed è necessario prenderne atto ed andare nella direzione della prevenzione dei conflitti».
La serata è stata intensa. «Attraverso questi incontri vogliamo diffondere una cultura di dialogo, rispetto e confronto», ha detto Alessandro Rigatti introducendo il tema «Europa dei popoli» all'auditorium delle scuole medie. L'incontro si colloca nella cornice più ampia del progetto giovani «Noi Europa» organizzato dall'associazione «La storia siamo noi».
La Kyenge ha aperto la serata raccontando la sua storia. Nasce in Congo, dove matura il sogno di diventare medico, che la condurrà in Italia non appena compiuta la maggiore età per svolgere il test d'ingresso dell'Università cattolica del Sacro cuore di Roma. Il suo volo arriva 24 ore dopo la chiusura dei test, e lei si trova da sola in un Paese straniero. «Venni accolta da un sacerdote, che mi invitò a tornare in Congo per ricongiungermi con la mia famiglia. Gli risposi che non avrei mai preso l'aereo di ritorno senza la laurea in tasca».
Dopo un anno di intensi studi riesce ad entrare all'università, dove corona il suo sogno. «Una volta laureata, mi sono resa conto che dovevo integrarmi in questo Paese. Ho cominciato a cambiare mentalità, ad interessarmi di tutto. Sono diventata medico, ma la lotta per i diritti umani era diventata una necessità ancora più forte del mio stesso sogno».
Diventa ministro per l'integrazione del governo Letta, ed inizia la sua battaglia. «A quel punto, in base alle offese che ricevevo, mi sono resa conto di essere diventata un pericolo proprio perché avevo studiato. Da quando ho iniziato a ricevere attacchi, ho capito che in Italia non abbiamo lavorato abbastanza sul tema del riconoscimento ed accettazione della diversità». Tema per il quale Cécile Kyenge si batte ancora.
Ieri ha rivelato di essere emozionata ogni volta che si trova di fronte ad un pubblico di giovani, in quanto ciò comporta sempre una responsabilità: bisogna essere in grado di guidarli, di consegnare nelle loro mani i propri valori. Incalzata dalle domande del moderatore Kyenge ha proseguito nell'esposizione del suo operato e dei suoi sogni: passando dall'esperienza vissuta da ministro nel momento della tragedia che ha visto inghiottiti dal mare oltre 300 migranti a quella provata in Nigeria, quando ha incontrato le famiglie delle 200 studentesse rapite da Boko Haram, «rapite proprio perché studentesse, perché l'istruzione è l'arma che fa paura anche ai terroristi».
Purtroppo, ha concluso la Kyenge, l'Europa non ha fatto molto, mentre un continente che gode della pace da 70 anni dovrebbe capire che non bisogna esportare in Africa né carità né semplice solidarietà, ma mettere in campo iniziative per garantire al popolo africano una crescita culturale e sociale. Chiudere le frontiere, far rimanere i migranti in Libia per lunghi periodi, non ha che peggiorato la situazione, ormai insostenibile.