Negozi, confermato lo stop ai nuovi centri commerciali
Lo stop ai grandi centri commerciali, con superfici superiori ai 10 mila m², è legittimo. Lo hanno stabilito i giudici del Tar, che hanno respinto il ricorso presentato da Federdistribuzione, la Federazione delle associazioni delle imprese e delle organizzazioni associative della distribuzione moderna organizzata (in Trentino, da Ovs a Pam, dai Superstore al Sait, da Mediaworld ai punti vendita Despar del gruppo Aspiag).
Nel mirino dei ricorrenti era finita la delibera numero 1522 approvata dalla giunta provinciale il 22 settembre 2017, su proposta dell’assessore Alessandro Olivi. Si tratta del provvedimento con cui viene di fatto stoppato, in applicazione delle legge provinciale 17/2000 sul commercio, l’insediamento di grandi strutture/centri commerciali al dettaglio con una superficie di vendita superiore ai 10mila m².
Molteplici i profili sollevati da Federdistribuzione, che chiedeva fra l’altro anche la remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della stessa legge 17, in particolare dell’articolo 11 relativo alla localizzazione delle aree per le grandi strutture di vendita. Secondo i ricorrenti, in particolare, la delibera sarebbe stata «invasiva della competenza costituzionalmente riservata allo Stato in materia di tutela della concorrenza, introducendo limiti all’accesso al mercato per gli operatori della grande distribuzione» nonché «in contrasto con il principio di libertà dell’iniziativa economica, stabilito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea».
La stessa norma provinciale, inoltre, secondo i ricorrenti avrebbe imposto a piazza Dante «un dovere positivo» di individuare le zone dove collocare le grandi strutture di vendita, «ma non consentirebbe l’azzeramento di tale previsione». La Provincia, ovviamente, si è costituita in giudizio, contestando punto su punto i rilievi mossi dalla controparte.
Alla fine nessuno dei motivi di ricorso è stato ritenuto dai magistrati amministrativi fondato, giunti alla conclusione che il provvedimento impugnato fosse legittimo: «È evidente - scrivono - che la decisione assunta dalla giunta provinciale avvalendosi dell’opzione prevista dall’articolo 11 della legge provinciale n°17/2010 e dall’articolo 32 della legge provinciale numero 5/2008, ossia della prevista possibilità di non localizzare grandi strutture di vendita superiori a 10.000 m², non è finalizzata a regolare autoritativamente, o ad alterare, l’offerta dei servizi sul mercato, ma persegue responsabilmente e motivatamente scopi di organizzazione del territorio, di tutela dei valori paesaggistico-ambientali e della salute della popolazione, annoverati fra i motivi imperativi di interesse generale in presenza dei quali, legittimamente, proprio la direttiva comunitaria (...) e le disposizioni legislative statali di recepimento ammettono, che l’esercizio di attività produttive o commerciali possa essere legittimamente subordinato a restrizioni quantitative o territoriali».
I giudici, in particolare, richiamano le ragioni che hanno portato piazza Dante a bloccare i grandi centri commerciali. Si parte da «un’incontestabile analisi del territorio provinciale», caratterizzato, si evidenzia, «dalla netta tendenza ad un incremento esponenziale delle superfici edificate, non proporzionato al limitato aumento della popolazione, e dalla progressiva erosione delle aree utilizzabili, fenomeno da contrastare secondo gli obiettivi perseguiti dall’Unione europea e dalla Provincia di Trento con la legge urbanistica numero 15/2015: il suolo, essendo una risorsa limitata, va dunque tutelato. Sul piatto c’è anche lo studio affidato al Dipartimento interateneo di scienze, progetto e politiche del territorio dell’Università di Torino, richiamato nella delibera, che - ricordano i giudici - «ha evidenziato l’elevata disponibilità di aree commerciali non utilizzate e già destinate ad ospitare grandi strutture di vendita con superficie inferiore a 10.000 m²» ma anche una fotografia - per quanto riguarda i Comuni lungo l’asta dell’Adige.- in cui «i fattori di pressione paesaggistica predominano rispetto a quelli di valore».
Per questo i giudici hanno respinto il ricorso. Infondata è stata ritenuta anche questione di legittimità costituzione sollevata della legge Olivi del 2010.