Orari di lavoro flessibili: meno assenze
Le aziende che adottano una organizzazione che va incontro alle esigenze familiari dei lavoratori risparmiano in termini di giorni di malattia e di straordinari. E in ufficio o da casa, visto che è molto utilizzato il telelavoro, hanno persone più produttive e entusiaste verso i compiti da portare a termine. I dati sugli effetti del sistema alla base dell'organizzazione degli orari secondo i principi del Family Audit sono stati pubblicati nei giorni scorsi dalla Provincia. Nella delibera che ha dato l'ok alla «Valutazione d'impatto familiare della prima sperimentazione nazionale dello standard Family Audit» è contenuto infatti lo studio che ha chiarito gli effetti nei cinque anni dal 2014 al 2017 su 34 aziende, di cui 9 trentine, sparse in tutta Italia e che hanno adottato i principi del Family Audit per i propri addetti.
Ebbene, i meccanismi messi in atto dalle imprese per venire incontro alle esigenze familiari e di vita dei lavoratori, ha evidenziato una serie di benefici importanti per entrambe le parti.
Nel documento «Valutazione d'impatto familiare della prima sperimentazione nazionale dello standard Family Audit», infatti, le organizzazioni coinvolte nella prima sperimentazione nazionale ancora attive nella certificazione Family Audit sono 34, con 18223 lavoratori coinvolti (6.500 donne e 11.723 uomini). Questi lavoratori hanno registrato ? nel corso dei tre anni di attivazione del processo - un aumento in tutti gli indicatori di flessibilità rilevati annualmente con il modello di rilevazione dati previsto dalle sopra citate linee guida. In particolare, le crescite più consistenti hanno riguardato gli occupati con banca delle ore (+10,6%) e con telelavoro/smart working (+9,2%). Una riduzione si registra invece negli indicatori giorni di malattia medi all'anno per lavoratore (-0,9) ed ore di straordinario medie all'anno per lavoratore (-7), «a testimonianza dell'efficacia delle politiche di conciliazione nel migliorare le condizioni di lavoro» si legge nel documento di valutazione delle politiche di conciliazione vita-lavoro adottate dalle aziende coinvolte.
Gli occupati che godono di almeno una forma di flessibilità sul lavoro sono sostanzialmente stabili intorno all'85% nei 3 anni di attivazione del processo. Le diverse forme di flessibilità sono leggermente più diffuse tra le lavoratrici (86%) rispetto ai lavoratori (84%). Il fatto che l'aumento registrato nei tre anni sia contenuto «può essere giustificato considerando l'ottimo livello di flessibilità (quasi l'82% dei dipendenti con almeno una forma di flessibilità) che le organizzazioni registrano già in avvio del processo» spiega il documento di valutazione.
Tra le forme di flessibilità rientra anche la possibilità di lavorare a part-time. Questa ha registrato in media un leggero aumento (dal 24,7% al 29,7% di dipendenti coinvolti in media) nel corso del periodo analizzato. In questo, caso il divario tra donne e uomini è notevole, con le prime che vedono un coinvolgimento che sfiora il 40% (37,7%), mentre i secondi non raggiungono il 20% (18,3%).
L'orario personalizzato registra un andamento particolare rispetto alle altre forme di flessibilità, presentando uno sviluppo leggermente decrescente nelle prime due annualità e una netta inversione di tendenza nella terza.
Probabilmente questa misura viene introdotta a completamento da organizzazioni che hanno già raggiunto una certa maturità nella gestione della conciliazione vita e lavoro. Sono sempre le lavoratrici a vantare un utilizzo maggiore dello strumento (25% contro il 19% dei colleghi maschi al termine della terza annualità).