Per i detenuti allergici diritto a cibo «alternativo»
In carcere deve essere fornita, ai detenuti, una dieta varia ed equilibrata che assicurando la tutela del diritto alla salute tenga presente eventuali allergie alimentari dei reclusi: in tal caso gli alimenti in 'black list' devono essere sostituiti con altri ben tollerati e dello stesso 'genere'. Lo sottolinea la Cassazione accogliendo il ricorso di un detenuto, Umberto O. di 46 anni, recluso nel carcere di Terni ed originario di Torre Annunziata, afflitto da una documentata e certificata allergia al pesce azzurro. L'amministrazione del carcere aveva preso atto della sua intolleranza alimentare e aveva eliminato ogni tipo di pesce dalla sua dieta, nonostante il personale sanitario del penitenziario avesse indicato il pesce 'alternativo' al pesce azzurro che doveva essere preparato almeno due volte a settimana per Umberto.
In prima istanza, il magistrato di sorveglianza aveva dato ragione al detenuto mentre in seguito il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva sostenuto la tesi della "piena fungibilità della carne con il pesce a fini nutrizionali" e la conseguente assenza di lesione al diritto alla salute.
Adesso la Suprema Corte ha dato piena ragione al reclamo del difensore di Umberto e ha fatto presente che l'art. 9 dell'Ordinamento penitenziario stabilisce che ai detenuti "sia assicurata un'alimentazione sana e sufficiente, adeguata, tra l'altro, allo stato di salute". "La particolare dieta di Umberto O., nell'escludere taluni alimenti, ricomprende tipi di pesce assolutamente comuni, notoriamente reperibili sul mercato anche a prezzi economici. A fronte di ciò - rileva la Cassazione - e di una tabella vittuaria che dovesse includere una o più porzioni settimanali di pesce nella dieta, l'Amministrazione dovrebbe dare adeguato conto delle contingenti ragioni, di ordine organizzativo, finanziario, o di altra natura, che le impediscano di adeguarvisi, imponendo il bando totale dell'alimento dai pasti del detenuto". In nessun modo il giudice di sorveglianza - afferma la Cassazione prendendo le distanze dalla sentenza del magistrato di Perugia che aveva 'condannato' Umberto a un vitto di sola carne - si può sostituire "agli organici tecnici ed amministrativi a ciò espressamente deputati e stabilire lui stesso ciò che rientri o non rientri nella nozione di alimentazione sana ed equilibrata". Ora il Tribunale di sorveglianza perugino - conclude la Cassazione nel verdetto 51209 depositato oggi dalla Prima sezione penale e relativo all'udienza svoltasi lo scorso 25 settembre - deve rivalutare il caso "nel rispetto dei principi enunciati".