Incastrati dall'sms della mamma Sette a processo per spaccio
A fregarli è stata la mamma. Non ha fatto apposta, ovviamente. Ma quel messaggino preoccupato - «Dove sei, tutto bene?» - ha fatto danni: per ricevere l’sms il telefono si è agganciato all’antenna più vicina. Che era Mestre. E poiché il pargolo in questione era uno degli indagati finiti nel mirino dei carabinieri, sospettato di spaccio di droga tra il Trentino e il Veneto, i militari hanno capito così che in quel momento il gruppo stava facendo la «spesa». Per questo sono scattati, in contemporanea, gli arresti: i due più inguaiati, quel giorno, sono stati proprio quelli di ritorno da Mestre, beccati con due chili di marijuana. È questo uno dei dettagli emersi l’altro ieri, al processo per l’operazione antidroga «Remember», datata 2017.
Un’inchiesta grossa, quella: sei arrestati per spaccio, 21 denunciati per lo stesso reato, 40 segnalati come consumatori di droga.
E ancora: sequestrati 6 chili di marijuana, 300 grammi di coca e 20 mila euro. Perché queste erano le cifre che giravano. E di cui alcune delle persone coinvolte potevano godere, pur senza lavorare. Per altro, facendo sfoggio di ricchezza: su Facebook c’era chi tra loro mostrava acquisti e ostentava uno stile di vita che non poteva non destare sospetto. L’altro ieri comunque, a processo sono finiti in sei: Roland Dibra, 22 anni di Pomarolo, Xhulio Vela, 24 anni di Pomarolo, Emanuele Irollo, 27 anni di Pomarolo, Renaldo Llupi, 24 anni di Rovereto, Andrea Manfrini, 24 anni di Rovereto, Atjon Lopci, 24 anni di Rovereto, Jamal El Koh, 35 anni di Rovereto.
È presto per dire come intendono difendersi dall’accusa di spaccio: ieri la parola è andata tutta all’accusa, con il pm Fabrizio De Angelis che all’epoca aveva coordinato l’indagine e che ieri ha ricostruito mesi di lavoro del nucleo operativo dei carabinieri di Rovereto.
Tutto è partito dall’arresto in flagranza di un roveretano, trovato con 200 gammi di coca.
Da lui - o meglio, dai suoi contatti - è partito tutto: ci si è accorti che era anche assuntore, si è andati a ritroso, nome per nome, fino ad arrivare all’individuazione di un gruppetto, finito nel mirino. Secondo l’accusa erano ragazzi che si rifornivano a Mestre e smerciavano, ciascuno per proprio conto, sulla piazza lagarina. Univano le forze per i rifornimenti: raccoglievano il denaro e acquistavano all’ingrosso, per ridurre costi e rischi. Poi dividevano la droga e ognuno la gestiva come credeva. Si muovevano con un’auto, sempre quella: la macchina della fidanzata di un degli imputati. Che i carabinieri hanno subito messo sotto controllo: prima rilevatore Gps, più avanti nell’indagine, anche cimici per controllo ambientale.
Una volta acquistata la droga, veniva portata in «magazzino»: il garage del padre (ignaro) di uno di loro, a Mori. E in effetti lì i carabinieri, quando alla fine hanno fatto una delle ultime perquisizioni, hanno trovato 780 grammi di marijuana, già divisi in sacchetti i diversa pezzatura. I contatti, infine, con il fornitore di Mestre, tal «Quattrocchi», erano via smartphone. Messaggi che volevano essere criptici: «Mi servono tre foglie e 10 pastiglie», significava, secondo i carabinieri, che si volevano 3 chili di marijuana e 10 grammi di coca.
In aula sono stati riportati tutti i messaggi, tutte le conversazioni, con interpretazione dei carabinieri.
Così come in aula sono sfilati gli acquirenti finali, molti dei quali colti da improvvisa amnesia. La prossima udienza la parola passerà alle difese.
Solo poi il collegio preseduto dalla giudice Mariateresa Dieni (a latere Consuelo Pasquali e Fabio Peloso) deciderà.