«Penalizzate le nostre eccellenze Un ricorso può avere successo»
Nel mirino la legge sulle chiusure domenicali
«Trento città non turistica? Mah... Ci lascia perplessi la fretta con cui è stato approvato questo provvedimento», esordisce Alessandro Penasa , direttore generale Dao, parlando - lui sì! - in fretta, di getto. «Non abbiamo una posizione preconcetta sulle chiusure domenicali ma la questione è troppo complessa per essere risolta in 10 giorni». È stata sottovalutata la crisi post Covid, aggiunge Penasa. «Le stranezze, poi, sono molte: la valle di Cavedine, ad esempio, non è considerata turistica ma la frazione Sarche di Madruzzo sì. Ne deriva un grave danno per i piccoli negozi della valle. Ecco perché l'abbiamo chiamata "la norma ammazza vallate"».
Altro esempio, Fiavé: «Negozi aperti a Comano, Sarche e Tione, chiusi nel Bleggio. Una scelta incomprensibile». Ed è stato trascurato un fatto: «Le vendite domenicali», morde il direttore generale Dao, «riguardano per la maggior parte i prodotti di nicchia, di eccellenza. Prodotti che la gente non compra nei giorni "normali" perché va di fretta e bada alle cose più urgenti e importanti». La ricaduta negativa sui piccoli produttori locali sarà pesante, insiste Penasa. «Faccio un esempio: nelle ultime due settimane - coi negozi chiusi la domenica - il comparto frutta per noi di Dao ha tenuto, ma al suo interno abbiamo registrato una grandissima flessione per i piccoli frutti. Voglio portare un altro dato: in una seconda metà di giugno molto complicata in tutt'Italia per quel che riguarda i punti vendita alimentari, il Trentino ha registrato la performance peggiore insieme alla Sardegna. Lo dicono le banche dati nazionali».
Incredulo Luca Picciarelli , direttore del Sait. «Certe situazioni stupiscono: l'esclusione delle città più grandi dall'elenco di quelle che potranno tenere i negozi sempre aperti, tanto per dirne una. Ma anche nelle valli ci sono cose strane: a distanza di un chilometro vediamo negozi che possono tenere aperto e altri che devono rimanere chiusi perché i paesi in cui agiscono sono stati considerati l'uno turistico e l'altro no!». La Provincia, insomma, non terrebbe in considerazione il principio della leale concorrenza. «Eppure avrebbe dovuto porsi il problema», sospira Picciarelli, convinto peraltro che la Provincia abbia messo in conto i possibili ricorsi: «Le aperture vengono definite a livello nazionale, dunque qualcosa succederà. In Friuli una legge analoga è stata impugnata e annullata».
La Provincia e i sindacati avrebbero sottovalutato anche l'aspetto occupazionale: «Centinaia di persone venivano assunte per la "stagione": ora le Famiglie cooperative dei comuni turistici faranno assunzioni ma quelle dei comuni esclusi certamente no. Noi stessi, come gruppo, rinunceremo ad assumere molti stagionali: sicuramente diverse decine». Giorgio De Grandi , presidente del Consorzio trentino iniziative (Cti), usa la macchina del tempo: «Questa norma ci fa tornare indietro di qualche decennio. Trento non turistica? Come dire che siamo sull'equatore... Non ha senso! E non mi parlino di percentuali».
Per De Grandi «si tratta chiaramente di una decisione presa per motivi politici, non certo commerciali o turistici. Abbiamo una città che negli ultimi anni ha puntato moltissimo sul turismo, organizzando tanti festival, creando il Muse. Ci sono stati forti investimenti pubblici. Ora siamo di nuovo a zero». Per quel che riguarda le aperture e le chiusure domenicali, «d'accordo», riprende De Grandi, «non è obbligatorio aprire, ma il commercio lavora con i propri capitali, i propri investimenti. Trovo strano, dunque, che qualcun altro possa fissare dei paletti, considerato anche il momento molto difficile. Ritengo che i commercianti debbano essere lasciati liberi di decidere se aprire oppure no, in base alle singole necessità. Penso comunque ci sarà modo di fare ricorso e riportare le cose su un binario di normalità».