Val di Non, commerciante d'auto sotto accusa: sede fittizia in Germania «Evaso mezzo milione di imposte»
Una verifica fiscale da un commerciante di autoveicoli ha aperto per i finanziari una pista di sospette violazioni fiscali che portava in Germania.
All'estero ci ci sarebbe stata solo una domiciliazione di comodo: in realtà tutta l'attività sarebbe stata gestita dal Trentino. In questo modo, secondo le Fiamme gialle, un imprenditore della Val di Non, tra il 2014 e il 2020 avrebbe sottratto al fisco italiano una base imponibile di quasi 30 milioni di euro ed evaso imposte per oltre 500mila euro.
È un classico casi di "esterovestizione", ovvero di trasferimento fittizio di holding all'estero gestite però in Italia, quello scoperto dalla Tenenza di Cles della Guardia di finanza, che ha portato alla luce un caso di evasione fiscale internazionale.
Il meccanismo fraudolento è stato scoperto durante una verifica fiscale nei confronti di una società operante nel settore del commercio di autoveicoli grazie al "fiuto" dei finanzieri che, in fase di accesso presso la sede dell'impresa, dopo aver trovato la documentazione commerciale di un'impresa tedesca, attiva nel medesimo settore, hanno deciso di svolgere una serie approfondimenti, per capire come mai quelle carte si trovassero presso la ditta trentina.
L'attività investigativa delle Fiamme gialle ha potuto contare sulla preziosa collaborazione delle autorità fiscali tedesche, attivate attraverso l'Ufficio cooperazione internazionale e rapporti con enti collaterali del Comando Generale - II Reparto di Roma. Da queste verifiche - come evidenziano le Fiamme gialle - è così emerso che la società estera era, di fatto, amministrata al 100% da un soggetto residente in Italia, peraltro socio dell'azienda ispezionata.
Gli elementi acquisiti hanno permesso di ricostruire l'effettivo ammontare delle operazioni commerciali intercorse tra le due società, dal 2014 al 2020, e grazie al coordinamento tecnico con la Direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate di Trento, è stato possibile qualificare come "esterovestita" l'impresa estera, riconducendone in Italia l'effettiva residenza fiscale. Un quadro confermato da molteplici elementi: tutte le decisioni riguardanti la gestione commerciale e finanziaria venivano prese nel territorio nazionale e, nel Paese estero, non ci sarebbe stata alcuna amministrazione effettiva, ma una semplice domiciliazione di comodo.
«Simili comportamenti - evidenzia la Guardia di finanza - non solo sottraggano preziose risorse finanziarie, che potrebbero essere impiegate a favore della collettività, ma costituiscano, anche, una vera e propria forma di concorrenza sleale, in quanto, grazie all'indebito risparmio fiscale, le aziende che vi ricorrono possono permettersi di praticare prezzi fuori mercato, danneggiando, specie in questa difficile congiuntura, la maggior parte degli imprenditori che rispettano, onestamente, le regole».