L'avanzata del cemento: Trento ha perso 107 ettari di verde in 13 anni, allarme anche in altre valli

di Domenico Sartori

Nel periodo 2006-2019, la città di Trento ha consumato 107 ettari di suolo, più di 8 ettari all’anno. Vuol dire che il capoluogo è stato capace di sacrificare ogni anno una superficie pari a otto campi da calcio. In Trentino, i dieci comuni più divoratori di suolo sono Trento, Rovereto, Levico Terme, Arco, Predaia, Riva del Garda, Pergine Valsugana, Borgo Valsugana, Mori e San Giovanni di Fassa.

Sembra un dato clamoroso: otto campi da calcio all’anno! Ma basta poco, e i decisori politici trovano sempre una buona ragione per tradire l’impianto normativo che impone lo stop al consumo di suolo. Che si tratti di trasformare oltre 2 ettari agricoli in residenza tra Melta e Gardolo, come deciso dal Comune di Trento in nome del co-housing, o degli ettari di campagna mangiati a Spini per la nuova mega officina di Trentino Trasporti, o di quelli sacrificati per il nuovo svincolo di Campotrentino tra la statale 47 della Valsugana e la provinciale per l’interporto, o, ancora, del sacrificio annunciato dalla giunta Fugatti che insiste per il completamento autostradale della Valdastico nord in Vallagarina, il consumo di suolo non ha colore politico (anche se, invero, ad insistere per ripartire con la giostra delle seconde case, dopo lo stop della legge Gilmozzi, è sempre stato il centrodestra a trazione leghista). Consumo ecumenico. Per intenderci: i 107 ettari di suolo divorati in tredici anni a Trento hanno visto al governo del capoluogo sempre amministrazioni di centrosinistra.

Un rapporto impietoso.

Le cifre del “sacrificio” arrivano dal Rapporto sulle dinamiche di urbanizzazione e sul consumo di suolo in Trentino (edizione 2020), presentato pochi giorni fa al Forum Osservatorio del paesaggio presieduto dall’assessore provinciale all’urbanistica e ambiente, Mario Tonina. Il rapporto è frutto del prezioso lavoro di analisi condotto dall’Osservatorio diretto dall’architetto Giorgio Tecilla e prende in considerazione l’evoluzione delle aree antropizzate e le trasformazioni che incidono sulla copertura fisica dei suoli, in termini di artificializzazione, impermeabilizzazione e perdita di funzionalità ecologica. Per quanto riguarda le aree fortemente antropizzate, sono due le componenti misurate: gli insediamenti, sparsi e aggregati; la rete infrastrutturale, oltre a cave, discariche, impianti per la gestione di reflui e rifiuti, e siti inquinati. Il boom economico del secondo dopoguerra ha trasformato radicalmente il paesaggio trentino. Nel 1960 gli insediamenti occupavano una superficie di 5.482 ettari, divenuti 12.104 nel 1987 e 15.943 nel 2004: in meno di 50 anni, un incremento del 190%. A danno delle aree agricole, che sono poco più del 10%, secondo il Pup del 2008. Di pari passo è mutato il rapporto tra la superficie insediata e la popolazione residente: 130 m²/abitante nel 1960, 320 nel 2004. La fotografia della voracità consumistica era stata scattata con il rapporto 2015. Ecco il punto: il rapporto 2020 rivela che nel 2019, a quattro anni dalla nuova legge urbanistica (Carlo Daldoss) improntata allo stop del consumo di suolo e alla rigenerazione, la componente insediativa è arrivata a 16.637 ettari: altri 700 ettari inghiottiti. La fame di suolo non si è fermata, ha solo rallentato la corsa.

La componente infrastrutturale (rete stradale, cave, etc) ha a sua volta un peso rilevante: è il 23% del totale delle aree fortemente antropizzate, pari a 4.952 ettari nel 2019. Risultato: in Trentino, l’estensione di queste aree antropizzate è di 21.589 ettari, il 3,48% del territorio. Per ogni abitante residente ci sono 398 m² di aree fortemente antropizzate.

Il consumo di suolo.

Il dato del 3,48% va contestualizzato all’orografia del territorio. E per considerare il consumo di suolo va quindi tenuto conto che il 60% del territorio è sopra i mille metri di quota, il 53% è fatto di boschi, il 12% di pascoli, e il 22% di rocce e, in minima parte, ghiacci. In Trentino è disponibile, per insediamenti e agricoltura, appena il 13% della superficie provinciale. Il rapporto evidenzia che c’è stato, dal 2006, un incremento costante del consumo di suolo, in media di 63 ettari all’anno. Nel 2019 è stato di quasi 53 ettari: meno voraci, appunto, ma sempre affamati. Il 3,7% del suolo trentino è stato consumato: più di un quarto del 13% di suolo disponibile per insediamenti e agricoltura è interessato da fenomeni spinti di artificializzazione. È questo il dato più preoccupante.

Il Trentino fa peggio.

Il Trentino, in raffronto al agli altri territori alpini, non fa una bella figura. Dalla comparazione, emerge che la Provincia di Bolzano presenta un 2,8% di territorio consumato: «valore significativamente più contenuto del 3,7% registrato in Trentino» riconosce il rapporto. E dati simili a quello altoatesino si registrano nelle province di Belluno (2,8%), Sondrio (2,6%) e nella valle d’Aosta (2,1%). Ovviamente, va tenuto conto che tali territori presentano valori di densità di popolazione insediata inferiori di quelli del Trentino. Quanto all’incremento annuale del suolo consumato, con riferimento al 2019, a fronte dei 52,9 ettari di incremento in Trentino, l’Alto Adige ne ha registrati 44,4. Il rapporto tra suolo consumato e popolazione insediata è di 421,1 m²/abitante in Trentino, mentre il suolo consumato per abitante residente è di 387,2 m²/abitante in Alto Adige.

E IL FUTURO? ANCHE PEGGIO

Prevedere il futuro è sempre un azzardo. Ma sulla base delle previsioni dei Piani regolatori vigenti il Rapporto 2020 sullo stato del paesaggio trentino delinea alcuni scenari. Con cautela, certo. Perché il passaggio dalla previsione alla effettiva trasformazione del territorio non sempre si concretizza. Ma sono scenari che mettono i brividi quanto a futuro uso del suolo in Trentino. «Lo scenario disegnato dalla mosaicatura dei Piani regolatori vigenti, aggiornata al 2019» si legge nel Rapporto «segnala una prospettiva di potenziale incremento delle aree fortemente antropizzate pari al 20% circa, rispetto alla situazione attuale». Ecco alcuni numeri: «Le aree attualmente naturali o agricole per le quali la pianificazione locale prospetta un cambiamento d’uso di carattere antropico più spinto, presentano infatti un’estensione piuttosto significativa, stimata in 4.270 ettari, tale da rendere potenzialmente raggiungibile la problematica soglia di 25.859 ettari di aree fortemente antropizzate, pari al 4,16% della superficie territoriale della provincia». Con un sacco di invenduto e di edifici sfitti, c’è ancora fame di nuovi metri cubi residenziali o commercial-produttivi. Il Rapporto evidenzia come «l’83% circa dei 4.270 ettari di incremento potenziale delle aree fortemente antropizzate sia da ricondurre a previsioni urbanistiche di carattere insediativo e, quindi, a previste espansioni di città, paesi e nuclei sparsi, caratterizzati da funzioni residenziali, produttive e di servizio». È quindi possibile, sulla base delle previsioni urbanistiche, quantificare la “rapina” ulteriore di superficie agricola che si prospetta: gli strumenti urbanistici locali destinano a futuri insediamenti 3.558 ettari oggi riservati all’agricoltura e alla naturalità. I 711 ettari restanti (circa il 17% delle aree fortemente antropizzate programmate) sono destinati all’incremento della componente infrastrutturale esterna ai contesti insediati: strade, cave, discariche, impianti per reflui e rifuti. È ragionevole ipotizzare, considera il Rapporto, che tali previsioni non saranno in toto raggiunte. Nel caso lo fossero, considerando che il dato demografico resti stabile, «il valore relativo alle aree fortemente antropizzate per abitante, oggi pari a 398 m²/abitante, vedrebbe in futuro un incremento di ulteriori 78 m²/abitante, portando il dato totale al significativo valore di 476 m²/abitante». Uno scenario da incubo in un’epoca che riempie il vocabolario di concetti come sostenibilità, economia circolare, rigenerazione e riuso.

 

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