L'avvocata Annalise Filz: educare fin dall'asilo contro la violenza sulle donne

L'intervista alla legale trentina

di Chiara Zomer

Maschi e femmine vanno educati a partire dall'asilo. Rispetto per l'altro, rispetto per se stessi, senso del limite: tutte cose che vanno interiorizzate da piccoli. Perché le leggi, che pur servono, arrivano dopo. Quando è tardi. Questa l'opinione di Annalise Filz, avvocato civilista da sempre a fianco delle donne, che dopo l'ennesimo femminicidio fa qualche riflessione.

«Ci sarebbero tantissime cose da dire».

Diciamole una alla volta.

«Questi fatti hanno mille sfaccettature, ma una cosa in comune: nella maggior parte dei casi non sono fulmini a ciel sereno. Sono tutte situazioni che già c'erano nell'aria e che quindi potevano essere evitate».

Annalise Filz

Ma chi poteva agire o dire qualcosa?

«Potevano essere evitate attraverso tutti quelli che ruotano attorno ai due protagonisti. Giocano un ruolo le persone che sono vicine a loro, i legali, i servizi sociali, la giustizia che si era già occupata della vicenda. Tutti noi. Perché a volte non ascoltiamo e non vediamo i segnali che però ci sono e che dovremo imparare a leggere. Troppe volte c'è omertà, troppe volte guardiamo e diciamo che sono problemi loro, troppe volte lasciamo correre. Ma la verità è che dobbiamo farci finalmente carico della violenza di genere».

Come?

«A cominciare dalla scuola materna, dobbiamo iniziare a parlarne. Dobbiamo farci carico, come società, di tutta una serie di interventi di supporto alle famiglie, perché queste cose non accadano. Io vedo tante ragazze giovani che accettano situazioni di violenza, magari molto più blande, ma le accettano».

Come società abbiamo cercato di dare risposte dal punto di vista giudiziario. Abbiamo inasprito le leggi, ora c'è il Codice Rosso. Serve, o sono solo rigidità del sistema che finiscono per non centrare l'obiettivo, cioè la tutela del soggetto debole?

«Sicuramente è servito, pensiamo alla legge sullo stalking, alla protezione della legge 54. Le norme ci sono. Purtroppo sono autoritarie e non autorevoli. Perché venga rispettata una legge dev'essere riconosciuta come giusta. Ora c'è ancora una mentalità fortemente radicata, che riconosce all'uomo non dico uno jus corrigendi, perché sarebbe eccessivo dire così, ma comportamenti di un certo tipo».

Riconosce chi? Le stesse donne?

«Bisogna lavorare molto sulle donne. Fin dall'asilo. Bisogna che vengano fortificate nella loro autostima, che capiscono che non va accettato niente. Niente. Uno che ti urla addosso, è già un comportamento violento. Bisogna insegnare loro che devono farsi rispettare. E al contempo bisogna insegnare ai maschi il fatto che l'amore non è possesso».

Stiamo ancora a parlare di questo, nel 2021? Pare incredibile.

«Sì, ma purtroppo ci sono persone per cui non è chiaro il concetto. Bisogna cominciare dall'asilo, la non violenza va instillata lì. Ed è la scuola che deve giocare un ruolo importante. E poi va fatta un'azione di sostegno per gli uomini violenti».

Perché altrimenti finisce che vengono puniti, ma tornano a comportarsi nello stesso meno.

«Esatto. Anche quando vengono condannati, non è che si mettono dentro e si butta la chiave. Anche chi è condannato dopo un po' esce, bisogna fare azioni di supporto nei confronti di questi uomini, cercare di cambiarne i comportamenti, per quanto è possibile».

Abbiamo allentato l'attenzione?

«Ricordo che due anni fa l'università aveva organizzato nelle scuole dei corsi sull'affettività. Ma sono stati tolti i fondi. E questo manca adesso. Perché va benissimo che ci siano gli appartamenti dove una donna che denuncia, se crede, può nascondersi, benissimo che venga avvisata quando l'uomo che le ha usato violenza esce dal carcere, ma è sulla prevenzione che dobbiamo agire. E il supporto serve nei primi anni di vita, quando si forma la personalità. Serve capire il rispetto per se stessi e per gli altri. Lo dobbiamo insegnare agli uomini quanto alle donne. Perché il resto c'è: i consultori, le leggi, le strutture».

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