Trento / Il processo

Controlla se la figlia è illibata: papà condannato in tribunale

Il padre avrebbe proceduto ad un "controllo intimo" per assicurarsi che la figlia tredicenne non avesse perso la verginità.  La vicenda sconcertante è stata ripercorsa in aula davanti alla giudice Adriana De Tommaso

di Marica Viganò

TRENTO. Un padre è stato condannato per violenza sessuale nei confronti della figlia che all'epoca dei fatti aveva solo tredici anni. La vicenda sconcertante è stata ripercorsa in aula davanti alla giudice Adriana De Tommaso.

Due sono gli episodi contestati, accaduti per il medesimo pretesto, ossia verificare che la figlia fosse ancora illibata.

Il padre, dopo aver scoperto alcuni atteggiamenti della ragazzina a suo parere troppo libertini, vedendo in particolare i selfie in pose sexy che scambiava via cellulare, avrebbe proceduto ad un "controllo intimo" per assicurarsi che la figlia non avesse perso la verginità. Con sfregamenti che, secondo la ricostruzione della procura, non sarebbero altro che atti sessuali.

Da precisare che a distanza di cinque anni il padre e la figlia vivono sempre sotto lo stesso tetto, non c'è stato alcun allontanamento dalla casa familiare. La vicenda è emersa per caso, per una confidenza che l'allora tredicenne aveva fatto a scuola, turbata per la "procedura" a cui era stata sottoposta. Ne è venuta a conoscenza l'assistente sociale, che ha dato il via al procedimento penale.

Come ha evidenziato l'avvocato Andrea Bezzi, legale dell'imputato, è necessario considerare il contesto in cui si sono verificati i due episodi contestati. Il padre ha sempre sostenuto che l'intento del controllo intimo era "educativo", per accertarsi della situazione, non certo per violare la figlia.

C'è stato dunque un confronto in aula con il pubblico ministero sull'inquadramento giuridico della vicenda, se si potesse configurare come maltrattamenti in famiglia o come abuso di mezzi di correzione, ma secondo la Cassazione a prescindere dall'intento il reato per cui procedere è solo uno: violenza sessuale. La famiglia è originaria del Sudamerica. Marito, di professione operaio, e moglie, che per un periodo si è occupata di assistenza agli anziani, vivono in Italia da molti anni, sono integrati nel tessuto sociale, i figli studiano.

È nel controllare il cellulare della figlia che entrambi sarebbero rimasti spiazzati. La prima è stata la mamma: scoprendo le foto sexy che la figlia scambiava con gli amici, le ha subito tolto il telefono. Poi è stata la volta del padre: temendo che la ragazzina avesse avuto rapporti intimi, ha deciso di verificare lui stesso l'integrità fisica. Non attraverso una visita specialistica, accompagnando la figlia da un medico e favorendo in questo modo anche il confronto con uno specialista. No, il padre ha voluto fare da sé. Di qui la contestazione della violenza sessuale.

L'uomo è stato condannato in abbreviato a 3 anni 4 mesi e venti giorni, una pena che terrebbe conto del contesto e della presa di coscienza dell'imputato di aver sbagliato. In attesa della conclusione del processo, infatti, il padre ha portato a termine due distinti percorsi psicologici; il dialogo, sotto la guida di specialisti, avvenuto con la moglie e la figlia in merito all'accaduto ha permesso di superare insieme il trauma e contribuito a tenere unita la famiglia. 

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