Ginecologa scomparsa, parla la sorella: «Ambiente a lei estraneo, non voleva farne parte»
Emanuela Pedri determinata a fare giustizia per Sara: “Sono contenta della rimozione del primario di ginecologia, mi auguro che Tateo e la sua collaboratrice non provochino danni in altri reparti. Avanti con la mia battaglia per evitare situazioni come quella successa a mia sorella”
TRENTO. «Ho portato avanti questa battaglia non solo per mia sorella Sara: l'intenzione era di risanare un posto di lavoro in cui la gente non stava bene». Emanuela Pedri è stata avvertita in tempo reale della presa di posizione dell'Azienda sanitaria.
«Sono molto contenta di questa decisione. Mi auguro che il trasferimento del primario e della dirigente medico non comporti un danno in altri reparti. La speranza è che queste persone cambino atteggiamento».
Emanuela Pedri, Sara aveva fin dall'inizio della sua esperienza a Trento fatto il nome delle persone che la facevano stare male?
«Il nome del primario Tateo sì, lo faceva. Era il suo responsabile dunque era facile che lo nominasse. Ma era soprattutto con la dottoressa che aveva a che fare, con la Mereu. Di lei aveva parlato con noi e con gli amici. Era terrorizzata. Di certo all'interno del reparto quel nome veniva detto a fatica. La chiamavano "la signora" oppure "la vice primario". Il clima di terrore era tale che in ginecologia nessuno pronunciava il suo nome». Da indiscrezioni in merito alle indagini emerge che Sara avrebbe mandato una e-mail al primario, chiamandolo "sovrano illuminato".
In quel frangente avrebbe comunicato l'intenzione di dimettersi…
«La lettera di dimissioni l'ha vista mia mamma: era breve, formalissima. Mia sorella è fatta così, molto precisa. Quel termine "sovrano illuminato" non appartiene a Sara, lo sostiente anche mia mamma. Mia sorella è stata vittima di mobbing, provava terrore, non ha senso quell'espressione. Certo, potrebbe essere stata una presa in giro, posso pensare all'ironia data dalla malattia del momento. La lettera di dimissioni, tra l'altro, l'ha mandata a Cles. È tutto da verificare, noi verremo in possesso tra qualche giorno dei dispositivi di Sara, del computer e del cellulare».
Al di là dei contenuti di e-mail o messaggi, ci sono i suoi appunti che testimoniano una situazione difficile…
«Gli scritti suoi, quelli trovati nel suo appartamento, sono pochissimi e sono stati per così dire tradotti da me e dal carabiniere che si stava occupando del caso. Sappiamo di una e-mail in cui lei ringraziava il primario, quando le era stata data la possibilità di andare all'ospedale di Cles. Sara è una persona che per educazione ringrazia sempre».
È possibile che sua sorella abbia avuto un crollo emotivo dopo aver assistito in reparto a dinamiche che non le appartenevano o per non aver condiviso scelte che riteneva errate?
«Me lo sono chiesto tante volte. Ho provato a verificare, ho domandato alle sue colleghe se era successo qualcosa di grave e ritengo che l'episodio che l'ha segnata sia quello accaduto in sala operatoria durante un intervento, un parto cesareo. La dottoressa che ora è stata trasferita ha detto davanti all'equipe che Sara era un'incapace e l'ha fatta andare fuori. Per mia sorella quella era stata un'umiliazione. L'episodio risale a metà gennaio. Da ciò che abbiamo saputo la procura ha sentito le persone che erano presenti all'intervento, dagli strumentisti alla dottoressa che ha colpito Sara. Come conferma anche il personale del reparto, la dottoressa trattava così tantissime ragazze, soprattutto le infermiere e le ginecologhe con cui lavorava. Credo che Sara rifiutasse di essere una ginecologa all'interno di quell'ambiente».
Una crisi morale, quella di sua sorella?
«Credo avesse capito che c'era un'etica in quel reparto che non era la sua. Tante cose non le sono piaciute per l'educazione che ha. Sara è una persona ligia, una professionista di cui ti puoi fidare ciecamente. Per come è fatta lei e per ciò che sta emergendo ora dal reparto, ritengo che quell'ambiente estraneo alla sua etica potrebbe averla messa in una situazione di difficoltà emotiva».