Omicidio di Cristo Re, per Mulas condanna definitiva: dieci anni di carcere
La Cassazione conferma la pena per aver ucciso Andrea Cozzatti con una coltellata in un appartamento di via Maccani, ma da detenuto modello in cella da tre anni, potrebbe uscire prima
TRENTO. Dieci anni per omicidio volontario aggravato dalla recidiva. Si chiude con una pena contenuta il procedimento penale a carico di Salvatore Roberto Mulas, il 60enne in carcere dal 25 marzo del 2018 per avere accoltellato a morte Andrea Cozzatti, 44 anni, di Vezzano.
La pena è definitiva dopo che nei giorni scorsi la Corte di Cassazione ha respinto l'ultimo ricorso della difesa. Il legale dell'imputato, l'avvocato Stefano Daldoss, aveva cercato di fare derubricare l'accusa in omicidio preterintenzionale, una missione difficile.
La difesa comunque può certo essere soddisfatta: 10 anni per omicidio volontario da parte di un imputato con precedenti penali è una pena che si vede di rado. Pena che presto potrebbe consentire a Mulas, che in carcere a Spini di Gardolo ha sempre avuto una buona condotta guadagnando lo sconto di pena previsto, di chiedere misure alternative come l'affidamento in casi particolari.
La tragedia si era consumata in un appartamento al civico 22 di via Maccani la sera del 25 marzo di tre anni fa. La prima indicazione ai sanitari era di una persona colta da malore, ma nell'appartamento i soccorritori avevano trovato il povero Andrea Cozzatti riverso sul divano. Per il 44enne non c'era stato nulla da fare: fatale una coltellata inferta con forza alla schiena, sotto la scapola sinistra, che aveva reciso uno dei vasi principali, causando una copiosa emorragia.
Un secondo taglio superficiale, invece, si trovava sotto l'avambraccio sinistro.
Sulla responsabilità materiale di Mulas, reo confesso (fu lui ad indicare alla squadra mobile anche che l'arma utilizzata si trovava in un cassetto), non ci sono stati mai dubbi, ma è sulla qualificazione del reato che, in tutti e tre i gradi di giudizio, che la difesa ha dato battaglia. La coltellata sarebbe stata inferta al culmine di un litigio, durante il quale Cozzatti avrebbe rotto una bottiglia in testa a Mulas. Il conflitto proseguì poi in casa, dove si consumò la tragedia.
«Ho avuto paura, mi sono sentito minacciato e mi sono difeso», aveva raccontato Mulas, spiegando di avere afferrato un coltello da cucina e di avere colpito la vittima. A quel punto il 60enne sardo aveva raggiunto la vicina pizza al taglio, chiedendo di allertare i soccorsi per una persona che si era sentita male. Mentre si consumava la tragedia, nella stanza accanto, c'era però un terzo uomo, un tunisino, che convinto (erroneamente) di aiutare la vittima, aveva afferrato il coltello, infilato fino al manico. Un'azione che, secondo la difesa, avrebbe interrotto il nesso causale tra l'azione di Mulas (la coltellata) e la morte del 44enne, che sarebbe stata accelerata proprio dall'estrazione della lama. Per questo l'avvocato Daldoss aveva chiesto che Mulas venisse assolto dall'accusa di omicidio volontario, chiedendo in subordine che il fatto venisse inquadrato come omicidio preterintenzionale.
Sia in primo grado che in Cassazione, però, i giudici non hanno accolto la tesi della difesa, ritenendo che quel colpo violento - tanto che la lama affondò in profondità nella schiena - fosse stato inferto per uccidere. Il 20 agosto 2018, il processo in Tribunale a carico di Mulas si era concluso con una condanna a dieci anni, una pena a cui si era arrivati per effetto di un doppio "sconto": per il rito abbreviato e il riconoscimento delle attenuanti generiche. Condanna a poi confermata in appello dalla giuria popolare e ora anche dalla Suprema corte. Un peso potrebbe averlo avuto una lettera scritta da Mulas dal carcere ai famigliari di Andrea Cozzatti, che si erano visti strappare il loro caro in un modo tanto terribile. Una lettera in cui chiedeva perdono ed esprimeva il peso per quanto era successo: «Tutti i giorni mi accompagna il tormento per quanto accaduto e per il dolore che vi ho causato».