Il presidente dell’Ordine dei medici: “Situazione critica, viene meno il diritto alla cure di chi non ha il Covid”
Marco Ioppi fa un’analisi a 360 gradi della sanità trentina, ormai allo stremo: “Ci sono ritardi nelle visite e negli interventi chirurgici, il sistema sanitario pubblico sta capitolando a favore di quello privato”
TRENTO. Una situazione critica. Ci sono questioni di discriminazione e di etica delle cure. Ci si è fatti trovare ancora una volta impreparati, nonostante i due anni e le tre precedenti ondate di esperienza. Come Ordine siamo davvero preoccupati: il personale è sotto stress, sfinito. C'è il pericolo di una protesta e di una crisi, perché le grida d'allarme sono rimaste inascoltate».
Il dottor Marco Ioppi parla in modo pacato, sospirato, riflessivo, come suo costume. Ma le sue parole disegnano un quadro drammatico. Difficoltà che non si legano solo e non finiranno certo con dieci o venti ricoveri Covid in più o in meno, utili per una zona bianca, gialla o arancione. La questione - e le problematiche - sono ben più ampie.
Dottore: ricoveri, chiusure e riaperture di reparti, malati che devono attendere. Qual è la fotografia della situazione?
Nonostante la pandemia vada avanti ormai da due anni la situazione organizzativa della sanità è ancora una volta critica. La gravità dei pazienti Covid è fortunatamente diminuita, ma siamo in una fase di discriminazioni dei pazienti.
Nel senso che si decide chi curare e chi no, chi prima e chi dopo?
I pazienti "normali" non hanno gli stessi diritti dei pazienti Covid: vengono regolarmente rinviati, non presi in carico.
Tutto questo è giusto, è eticamente ammissibile?
Bisogna curare tutti, certamente, ma le disparità fanno male alla nostra sanità. A persone in lista per, ad esempio, un'operazione per tumore viene detto uno o due giorni prima se l'intervento si può fare o meno. E questo non va bene. La questione è legata anche alla vaccinazione: le istituzioni hanno spinto per la protezione, ma la società civile no. La massa critica dei cittadini non ha "lottato" abbastanza. Sentirsi dire un paio di giorni prima di andare o non andare in ospedale - che l'operazione sia il più grave dei tumori o una cosa di routine - crea ansia e angoscia. Ed è un danno sia per chi deve essere curato sia per chi cura.
C'è frustrazione nel personale sanitario?
Eccome: medici e infermieri hanno le mani legati, vengono dirottati ogni giorno su una patologia che non deve più prendere in ostaggio il sistema sanitario e crea atti di ingiustizia e di non equità. Anche per questa quarta ondata ci siamo fatti trovare impreparati: prima le speranze, poi travolti.
Cosa si poteva e si doveva fare?
Prima di tutto adeguare gli organici: con prudenza non si sarebbe dovuto pensare, la scorsa estate, che era tutto finito. Non sono stati presi provvedimenti e adesso è troppo tardi. Mi chiedo se sia il caso di bloccare ancora Trento e Rovereto, gli ospedali importanti per tutte le patologie gravi. Magari le strutture marginali, quelle periferiche, si sarebbero potute attrezzare per il Covid lasciando S.Chiara e S.Maria per le operazioni.
Torniamo alla questione etica.
Che è centrale. Ai pazienti Covid viene assicurato un posto, gli altri aspettano. Questo è un dato di fatto. Anche se ci sono dei letti liberi in alcuni reparti non possono ricoverare persone che non sono contagiate perché lì ci sono i Covid.
Ci sono anche no vax che non vogliono farsi curare.
Giù il cappello davanti a loro: dicono no al vaccino e quindi dicono no alla scienza, alla medicina, alle cure. C'è coerenza, almeno.
I medici come vivono questa situazione?
Penso a chi visita, ad esempio, un cardiopatico e vorrebbe intervenire subito. Ma non può perché non ci sono posti. Ecco, quel cardiologo la sera a casa si sentirà inadeguato. Questa situazione va avanti da due anni. Lo sfinimento del personale è preoccupante. C'è il pericolo di una protesta da parte loro: la sanità è in crisi e il grido d'allarme è rimasto inascoltato. A questo aggiungiamo pure i contratti scaduti, le piante organiche inadeguate, i posti vacanti non coperti, una demotivazione diffusa e lo sfinimento fisico e morale.
Tra le grida d'allarme ci sono state quelle dei medici di base.
Che subiscono pressioni di ogni genere. Dal certificato per l'esenzione al vaccino a telefonate e messaggi per ricette e tamponi. Non hanno pace. Alcuni di loro, per carità, possono aver sbagliato qualcosa, ma tantissimi fanno bene il loro dovere.
I cittadini cosa possono fare o chiedere?
Noi siamo tutti azionisti del sistema sanitario pubblico. Dobbiamo sapere cosa accade e pretendere soluzioni. La società civile deve organizzarsi e fare pressione affinché chi deve decidere lo faccia bene, con coerenza.
Ecco, il pubblico: il privato invece sta "crescendo" molto.
Rivolgersi al privato vuol dire ammettere di aver fallito: "non ce la facciamo, dateci un aiuto". Ritengo che sia giusto il coinvolgimento, ma con responsabilità e con controllo.
Da mesi sentiamo parlare di medicina territoriale: è lì la chiave di volta?
Una medicina territoriale che è peggiore rispetto a due anni fa, se non altro perché i medici di base e i pediatri di libera scelta sono di meno. Nessuna riforma è stata fatta: abbiamo chiesto di creare equipe con medici, infermieri, ostetriche, psicologi, personale tecnico e di segreteria. Ma nulla. La situazione è la stessa con l'impoverimento del personale. E negli ospedali uguale, in questi due anni è stato fatto davvero poco. Siamo in costante affanno. Per aumentare qualche posto in Rianimazione si chiudono reparti e i pazienti vengono trasferiti. Sono stati chiusi anche i due reparti "fantasma" di ostetricia a Cles e Cavalese: i servizi devono esserci, ma nella massima sicurezza. E se lì si lavora poco non può esserci sicurezza e si tiene sotto occupato il personale.