Muore di peritonite, i figli chiedono i danni: contestata la ritardata diagnosi e le cure post intervento
L'udienza davanti al giudice civile della corte d'Appello è stata fissata per la metà di settembre. L'Azienda sanitaria, nel frattempo, si è costituita in giudizio
TRENTO. Era entrata in pronto soccorso a Trento con un forte dolore addominale. Nonostante numerose visite a Trento e anche un ricovero a Rovereto, però, la diagnosi era arrivata solo nove giorni dopo. Troppo tardi per la donna che è morta in seguito ad una peritonite e a una polmonite contratta in ambiente ospedaliero. Per questa vicenda, che risale al 2012, i sei figli, difesi dall'avvocata Giovanna Sorrentino, hanno aperto un contenzioso con l'Azienda sanitaria.
Accertata la responsabilità dei sanitari per pluricondotte colpose legate alla mancata diagnosi e anche al trattamento riservato alla signora dopo l'intervento, il giudice, con un'ordinanza, nell'agosto del 2022 aveva accolto la domanda dei ricorrenti, ma aveva disposto un risarcimento che dai familiari non è stato ritenuto congruo anche alla luce della sofferenza patita dalla loro mamma. Per questo gli eredi della signora hanno presentato appello per chiedere la parziale riforma dell'ordinanza chiedendo al giudice di condannare l'Azienda sanitaria al pagamento di una somma maggior rispetto a quanto stabilito e liquidato in primo grado. I fatti, come detto, risalgono al gennaio del 2012.
La donna, che al momento del decesso aveva 82 anni ma godeva di buona salute, si era rivolta al pronto soccorso di Trento per dei forti dolori addominali. L'appendicite, però, non era stata diagnostica.
«Questo nonostante gli esami avessero evidenziato l'infezione in corso», spiega l'avvocata. Sono seguiti altri accessi, fino al ricovero a Rovereto in quanto a Trento non vi erano posti letto disponibili. Anche durante i primi giorni in ospedale, però, i sanitari non erano arrivati ad una diagnosi precisa. Solo quando la situazione era ormai degenerata e l'appendicite si era trasformata in peritonite, una radiografia ha evidenziato la gravità della situazione.
La donna dopo sei ore era stata operata ma purtroppo l'intervento non era stato risolutivo. Anzi, per lei era iniziato un vero e proprio calvario. Nel reparto di medicina aveva infatti contratto anche la polmonite e alla fine, dopo 27 giorni dal primo accesso in pronto soccorso, era deceduta. Fin dal primo ricorso il consulente di parte aveva evidenziato la responsabilità dei medici, responsabilità confermata anche da una seconda consulenza tecnica che aveva evidenziato, oltre alla questione della mancata diagnosi, anche il fatto che la donna non era stata posta in terapia intensiva dopo l'intervento e che aveva avuto una errata alimentazione post intervento.
Nel riconoscere il danno agli eredi, però, il giudice aveva scelto di procedere per danno da perdita di chance e non per danno da morte, ossia derivante dalla recisione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato, derivante dal decesso del congiunto. Con questo appello i familiari chiedono appunto di rivedere il calcolo del danno tenendo in considerazione anche il danno catastrofale legato alla sofferenza che la donna ha dovuto patire durante i suoi giorni di ricovero che hanno poi portato al decesso.
L'udienza davanti al giudice civile della corte d'Appello è stata fissata per la metà di settembre. L'Azienda, nel frattempo, si è costituita in giudizio.