Emergenza Rsa: in Trentino 1600 anziani e le loro famiglie aspettano un posto in casa di riposo
Mancano gli infermieri, ridotti i posti letto, situazione di emergenza in Val di Non e Alta Valsugana: qualcuno che può entra a pagamento, a più di 130 euro al giorno
TRENTO. È sempre più duro per un anziano bisognoso di cure ottenere un posto in casa di riposo, ed in alcune zone del Trentino, come lungo l'asta dell'Adige, ovvero i comuni di Trento, Rovereto e Alto Garda lo è ancora di più. «Colpa del rapporto tra disponibilità di posti letto e popolazione anziana», ammette Massimo Giordani, direttore di Upipa, Unione provinciale istituzioni per l'assistenza, il consorzio che raggruppa le strutture per anziani della provincia di Trento.
«In queste aree - spiega l'esperto - c'è un'altissima pressione. Il rapporto è sbilanciato, anche se in misura minore, in Alta Valsugana e Val di Non mentre nelle altre valli del Trentino la situazione è un po' più calmierata. Abbiamo avuto un problema nelle zone di Fiemme e Fassa perché, a causa della mancanza di infermieri, ci siamo trovati costretti a diminuire artificialmente il numero di posti disponibili. Nel corso del 2023 abbiamo dovuto sospendere gli ingressi, e adesso la situazione è risolta, ma non del tutto».Il calcolo in dettaglio di quanti sono in lista d'attesa è complesso ed è soggetto a continue variazioni. «Per organizzarci al meglio - prosegue Giordani - come Upipa facciamo delle stime, grossolane certo, ma che ben rendono l'idea di come la situazione stia cambiando. Monitoriamo dunque la saturazione dei posti privati, quelli cioè a cui si accede senza contributo dell'azienda sanitaria. Sono posti letto costosi, che gravano sulle famiglie per circa 130 euro al giorno, e che quindi vengono richiesti come ultima spiaggia. Se nel passato la saturazione era del 50 per cento, nel corso dell'anno scorso si è arrivati ad una copertura quasi completa. Ora, se ad una saturazione del 50 per cento corrispondeva una lista d'attesa tra i 600 e i 900 potenziali utenti, ora dobbiamo fare fronte a circa 1200, 1600 anziani bisognosi in lista d'attesa. E questo è un dato sconfortante».
Due sono i problemi concreti: la popolazione è sempre più anziana, e il grado di assistenza richiesto è sempre più elevato. E le due cose sono collegate, perché per entrare in casa di riposo, non conta il tempo d'attesa che può superare l'anno, ma la gravità dell'anziano. «É un po' come al pronto soccorso, dove passa avanti chi ne ha più bisogno» precisa il direttore Upipa. E qui si innesca il problema degli standard assistenziali.
La familiare di un anziano ricoverato presso una Rsa di Trento racconta: «Il tempo che il personale oss può dedicare ad ogni singolo ospite è risicato. Se si pensa che a noi, che siamo autonomi, per la vestizione e l'igiene al mattino possono servire circa 30 minuti, nelle Rsa, gli operatori oss in possono dedicare solo sette minuti del loro tempo ad ogni ospite. Sono molti i disagi a cui sono sottoposti quotidianamente gli ospiti ed il personale della Rsa, basta pensare che una sola infermiera durante il suo turno di otto ore deve garantire l'assistenza a 40 ospiti su ogni singolo piano, tutti con problematiche differenti e spesso gravi».
La situazione è dunque critica, ma bisogna evitare che peggiori. «Possiamo calcolare - riprende Giordani- quanti minuti a settimana sono dedicati da oss, infermieri e medici ad ogni singolo paziente: prima del Covid erano calcolati 1500 minuti in media a settimana, quasi tre ore al giorno a persona, mentre ora siamo a 1250 minuti a settimana. In Lombardia si è arrivati a 900 minuti a settimana, e questo è un modello da non seguire. Certo, vanno ripensati i servizi, ma forzare alle cure domiciliari non è sempre la soluzione, perché a casa gli anziani soffrono di solitudine».