La Cassazione: «È reato consegnare i migranti alle autorità libiche». Le Ong di salvataggio: ora causa contro il governo Meloni
I giudici certificano ciò che da sempre affermano gli attivisti umanitari: la Libia non rappresenta un porto sicuro, consegnarle persone infrange il Codice della navigazione anche in tema di «abbandono in stato di pericolo di minori o incapaci». Luca Casarini (Mediterranea Saving Humans): «Chiarito che la Libia non può garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi. Ora i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca le navi del soccorso civile»
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ROMA. Affidare migranti ai guardiacoste di Tripoli è un reato perché la Libia non rappresenta un porto sicuro. È una condotta che infrange il Codice della navigazione in tema di «abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone».
È quanto cristallizza la Quinta sezione della Corte di Cassazione nella sentenza, la numero 4557, con cui hanno reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alle autorità locali.
Oltre che sul fronte politico la decisione potrebbe avere riflessi importanti sui procedimenti giudiziari in corso, anche dal punto di vista amministrativo, tanto che le ong annunciano una class action «contro il governo e il ministro dell'Interno e il memorandum Italia-Libia».
La vicenda, finita all'attenzione del tribunale di Napoli, ruota intorno all'intervento del rimorchiatore, nave di appoggio di una piattaforma, per oltre cento migranti che si trovavano su una imbarcazione salpata dalle coste africane.
In base a quanto accertato dagli inquirenti, dalla piattaforma sarebbe arrivata al comandante la richiesta di imbarcare un soggetto di nazionalità libica «ufficiale di dogana libico» che avrebbe suggerito al comandante di dirigersi verso le coste di Tripoli e lì sbarcare i migranti soccorsi.
I giudici affermano che l'imputato ha «omesso di comunicare nell'immediatezza, prima di iniziare le attività d soccorso e dopo averle effettuate, ai centri di coordinamento e soccorso di Tripoli e all'Imrcc di Roma, in assenza di risposta dei primi, l'avvistamento e l'avvenuta presa in carico».
Operando in questo modo, per la Cassazione, il comandante ha violato «le procedure previste dalla Convenzione di Solas e dalle direttive dell'Organizzazione marittima Internazionale» mettendo in atto «un respingimento collettivo in un porto considerato non sicuro come quello libico».
La Cassazione, inoltre, ribadisce che nel caso specifico il comandante «avrebbe dovuto operare accertamenti necessari sui migranti, verificare se volessero o meno chiedere asilo, effettuare accertamenti necessari sui minori, per verificare se fossero accompagnati o meno».
Per Luca Casarini, uno dei responsabili di Mediterranea Saving Humans, la pronuncia dei giudici «ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta guardia costiera libica» non può «coordinare» nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi. Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell'Interno e il memorandum Italia-Libia».
Il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, ricorda che «era a bordo della Open Arms - prosegue il leader di SI - quando sentimmo le conversazioni radio del mercantile italiano che riportò a Tripoli i naufraghi, e denunciai ciò che era accaduto. Ora non ci sono più alibi per le autorità italiane e gli apparati dello Stato nel come comportarsi nel Mediterraneo centrale».