Ictus non diagnosticato, la storia di Rossella in tribunale: era stato classificato come «attacco emotivo»
Oggi (6 marzo) in aula la causa civile. Le parole, potenti, della ragazza in una lettera del giugno 2023: «Vorrei una vita dignitosa, con il minimo indispensabile. Non dico tornare come prima, ma almeno uscire e avere un vita sociale. Mi parlano con accondiscendenza, come se non ci fossi. Ma l'unica cosa buona che mi è rimasta è la testa»
IL CASO Val di Non: ictus non visto, via alla causa civile
LA LETTERA Rossella, l’ictus non visto e la battaglia per farsi sentire
TRENTO. Avrà luogo oggi, 6 marzo, la prima udienza relativa all'inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Trento per lesioni personali colpose gravissime in relazione alla presunta mancata diagnosi che ha interessato Rossella, la 26enne di Cles rimasta parzialmente paralizzata a causa di un ictus nel 2020.
La famiglia della ragazza - si apprende - sarà accompagnata dagli esponenti dell'associazione Uniamoci Trentino. La storia della giovane, costretta su una sedia a rotelle dopo l'incidente, è comparsa sulla stampa locale per la lettera inviata lo scorso anno dalla 26enne alle istituzioni provinciali in relazione alla necessità di trovare un nuovo alloggio, dato che quello in cui risiede attualmente si trova al terzo piano di un edificio privo di ascensore.
Secondo la ricostruzione riportata dall'associazione, la 26enne è stata accompagnata in ospedale a Cles il 21 agosto del 2020 a causa di dolore alla testa e formicolii, seguiti da perdite di conoscenza, problemi nella parola e paralisi facciali parziali. Inizialmente - a quanto racconta la stessa ragazza in una lettera - "si parla di attacco emotivo" senza "alcun sintomo neurologico", mentre la settimana successiva viene diagnosticato un ictus ischemico al ponte encefalico attraverso una risonanza magnetica.
Nel frattempo, la ragazza viene portata in terapia intensiva e intubata a causa di un grave peggioramento delle condizioni di salute, che porta i medici a parlare anche di "morte cerebrale". Dopo un mese di coma, la 26enne si risveglia. Cosciente ma priva della possibilità di parlare, si ritrova "in una neurologia i cui operatori sono molto freddi e distaccati" e "non si fanno scrupoli a fare determinati commenti".
Dimessa dopo 9 mesi dall'ospedale Villa Rosa di Pergine, la giovane si scontra anche con il blocco del ciclo di fisioterapia, a cui segue un nuovo appello alle istituzioni. La famiglia della giovane ha rilevato anche di non essere stata informate dei contributi a cui avrebbe avuto diritto per prestazioni e apparecchiature sanitarie specifiche.