Bypass / Progetti

Scavo delle gallerie Tav: «La terra buona resti in Trentino, nelle nostre cave», ecco i siti autorizzati

Da Ala alle Brianeghe, da Civezzano a San Romedio, e persino 58 mila metri cubi in Valdiriva a Rovereto per prevenire le piene. Dove saranno smaltiti non lo svela l’aggiornamento del Put ed è uno dei grandi punti di domanda che ancora aleggiano sul progetto di bypass

di Franco Gottardi

TRENTO. «Se è vero che la terra che verrà scavata è di buona qualità deve rimanere in Trentino, ci mancherebbe che oltre al danno dei lavori a rilento subiamo le beffe di vedere milioni di metri cubi pregiati partire per il Veneto». Alessandro Nicolli, che oltre che essere presidente della circoscrizione di Mattarello è un imprenditore agricolo di lunga esperienza, guarda dall'alto il sonnacchioso incedere del cantiere del bypass ferroviario e ragiona su quello che potrebbe essere uno degli aspetti positivi del contestato e contrastato progetto di Rfi. Un auspicio che sembra verrà soddisfatto.

È infatti della settimana scorsa l'incontro tra Provincia, Comune di Trento e Rfi in cui la società ferroviaria ha assicurato ampia disponibilità a prendere in considerazione le istanze degli enti locali e delle aziende proprietarie di cave e terreni in grado di ospitare il prezioso materiale.

«Rete ferroviaria concorda sull'opportunità di realizzare un'analisi multicriteria che tenga conto delle disponibilità emerse in Trentino» spiega Roberto Andreatta, dirigente generale del dipartimento enti locali, agricoltura e ambiente della Provincia, presente all'incontro accanto alla dirigente del Servizio industria Carla Strumendo. «Tutto nasce - spiega Andreatta - da una prescrizione della commissaria straordinaria Paola Firmi e dal punto di vista ambientale, oltre a limitare gli spostamenti dei camion che dovranno trasportare il materiale, riempire i buchi aperti dalle cave rappresenterà la chiusura di un cerchio con la possibilità in futuro di veder nascere su quelle aree vigneti o altre iniziative agricole».

Trattandosi infatti di materiale classificato compatibile con la tabella A, quindi puro e potenzialmente fertile, fatte le doverose analisi si conta insomma di riutilizzarlo al meglio.

La disponibilità e l'opportunità di indirizzare le terre sputate dalle frese che bucheranno la Marzola per realizzare i tunnel nei siti trentini ha trovato un varco con il deposito il 18 giugno scorso al Ministero dell'ambiente dell'aggiornamento al Put, il Piano di utilizzo delle terre da scavo. 

Oltre a confermare l'elenco dei siti indicati nel Piano di fattibilità tecnico economica e già autorizzati il Put, aggiornato su richiesta dell'Agenzia provinciale per l'ambiente, amplia la possibilità di accogliere materiale anche a una serie di siti tra cui molti trentini.

Non tutti hanno già un'autorizzazione in tal senso ma considerando che per le prime terre da scavo, almeno lo scavo principale che porterà alla luce oltre 2 milioni di metri cubi, bisognerà attendere almeno un anno c'è tutto il tempo per sistemare anche la parte burocratica e verificare le condizioni ambientali.

Nella prima versione del Put accanto a grandi siti già autorizzati, soprattutto a Sommacampagna e Bussolengo, nel veronese, compariva solo una piccola cava da 20.000 metri cubi a Chiesurone di Ala.

Ora l'elenco viene integrato da molti altri siti lombardi, veneti e soprattutto trentini. Tra quelli con progetto già autorizzato ci sono la Corona Calcestruzzi di Pergine per 30.000 metri cubi, le Cave di Pilcante sas di Sabonè/Chiesurone di Ala per 50.000 metri cubi, la Cava Brianeghe di Mori (30.000), la Cava Cengi di Rovereto (30.000) e c'è anche una disponibilità da ben 800.000 metri cubi da parte della Nord Torf srl di Salorno.

Ci sono poi ampi spazi individuati in siti con progetti in corso di autorizzazione. La Provincia si è fatta avanti in prima persona con i Bacini montani che propongono di depositare 58.000 metri cubi come rilevato arginale lungo l'Adige in località Valdiriva a Rovereto; spazio per ben 400.000 metri cubi è potenzialmente a disposizione a Camparta, nella circoscrizione di Meano, a cui si aggiungono altri 340.000 metri cubi ai Piani di Camparta; la Miniera S. Romedio chiede di ricevere 100.000 metri cubi a Predaia; altri 100.000 metri cubi sono stati individuati a Neravalle di Ala e 240.000 in Val Camino nel comune di Civezzano.

Un caso a parte è poi quello della società agricola Acquaviva con il progetto di disboscare in quota per realizzare un nuovo impianto. Nel Put compare l'enorme cifra di 1 milione di metri cubi in attesa di autorizzazione. Ma in realtà si tratta di una ipotesi ormai archiviata e pare che anche la versione molto più ridotta, di 205.000 metri cubi, che era pronta per la Valutazione di impatto ambientale sia stata rimessa nel cassetto dalla stessa azienda, delusa per le critiche e le perplessità ambientali emerse in fase di screening.

Ma quanta terra è «buona» e quanta no?

Sulla qualità delle terre che verranno scavate e la reale possibilità di riutilizzarle addirittura per progetti agricoli si è discusso molto in passato e probabilmente si continuerà a discutere. I No Tav in particolare hanno sempre sostenuto che siccome per far andare bene le frese che dovranno affrontare la dura roccia sarà necessario usare abbondanti additivi chimici questi potrebbero finire per contaminarle e renderle inutilizzabili.

La risposta su dove sta la ragione si avrà probabilmente solo nella fase operativa, quando le terre scavate saranno spostate nei siti intermedi per il vaglio, accumulate in montagnole da 5.000 metri cubi l’uno e poi sottoposte ad analisi a campione prima di essere avviate alle destinazioni finali.

Intanto il Put spiega che gli additivi sono ecologici e basterà far riposare i terreni per 28 giorni per smaltirli. Dei 2.181.125 metri cubi che si stima verranno scavati tra gallerie naturali, gallerie artificiali, rilevati e trincee ben 1.941.390 saranno quelli potenzialmente riciclabili come sottoprodotti mentre 67.594 metri cubi si conta di riutilizzarli nei cantieri del bypass per fare calcestruzzo o altro.

I terreni destinati a rifiuti si stimano nell’ordine di meno del 10%, cioè 162.809 metri cubi. Tra questi ci saranno sicuramente i terreni scavati al margine dell’ex Sloi per fare spazio a un paio di binari in risalita dalla trincea verso nord. Ed altri terreni certamente inquinati sono presenti anche più a sud, nella fascia di un ettaro che per prima è stata posta sotto sequestro dalla magistratura.

Dove saranno smaltiti non lo svela l’aggiornamento del Put ed è uno dei grandi punti di domanda che ancora aleggiano sul progetto di bypass. L’aggiornamento, che per legge diventerà operativo dopo 60 giorni dal deposito, quindi subito dopo ferragosto, si occupa anche dell’utilizzo dei terreni da scavo dello Scalo Filzi, oggetto di attente analisi che avevano portato alla luce la presenza di inquinamento in almeno tre punti, inquinamento considerato però puntuale e non derivante da infiltrazioni di Sloi e Carbochimica.

Ebbene il nuovo Put assicura che tolti i primi cinque metri superficiali, dove appunto sono state trovate contaminazioni, tutta la fascia di terra che sta ad una profondità tra 5 e 15 metri è buona e compatibile con la tabella A.

Nulla è dato sapere però ad oggi sullo stato di salute della falda; da mesi Appa aveva promesso la pubblicazione dei dati dei sei piezometri fissi che analizzano le acque sotterranee ma la cittadinanza è ancora in attesa. Il Put conferma anche l’area Sequenza come area che verrà utilizzata per il deposito provvisorio delle terre da scavo. Un’ipotesi che per il momento non sembra scalfita dalla presenza di piombo dietile e trietile nella falda, messo in rilievo dalle ultime analisi, e neanche dall’obbligo in carico al Comune di emettere entro i primi di settembre un’ordinanza di messa in sicurezza sancito da una recente sentenza del Consiglio di Stato.

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