Doppio lavoro, professore universitario condannato: dovrà versare mezzo milione di euro
Per il docente, come per altri suoi colleghi, i guai partirono da un articolo pubblicato sul quotidiano "la Repubblica" il 15 gennaio 2018 intitolato "Caccia ai docenti col doppio lavoro"; "caccia" a cui partecipò anche la procura regionale della Corte dei conti di Trento che aveva chiesto e ottenuto dall'Università una relazione dettagliata su eventuali incarichi professionali extra istituzionali
TRENTO. La stangata è arrivata anche nel giudizio di secondo grado: il professor Nicola Demetrio Luisi dovrà versare all'Università di Trento quasi mezzo milione di euro per gli anni in cui svolse una doppia occupazione senza esserne autorizzato, affiancando all'insegnamento del diritto romano e delle antichità a Giurisprudenza l'attività di imprenditore e consulente legale.
Vero è che l'Appello della Corte dei conti ha parzialmente accolto il ricorso del docente, ma il risultato ottenuto in aula risulta assai parziale dal punto di vista pratico e si traduce in uno sconto di "soli" 103.369 euro sull'importo che era stato determinato dalla Sezione giurisdizionale, ossia 549.426 euro (la Procura della Corte del conti gli aveva contestato una somma più alta, pari a 646mila euro). La cifra che è chiamato ora a versare all'Ateneo trentino è di 446.057 euro.
Per il professor Luisi, come per altri suoi colleghi, i guai partirono da un articolo pubblicato sul quotidiano "la Repubblica" il 15 gennaio 2018 intitolato "Caccia ai docenti col doppio lavoro"; "caccia" a cui partecipò anche la procura regionale della Corte dei conti di Trento che aveva chiesto e ottenuto dall'Università una relazione dettagliata su eventuali incarichi professionali extra istituzionali.
Il professor Luisi venne nominato ricercatore a Trento nel novembre del 1994 e da allora alternò periodi di docenza a tempo pieno a periodi a tempo parziale.
«Nel periodo preso in esame (gennaio 2010 - maggio 2019) il convenuto - così ricostruì la procura - sarebbe stato impegnato contemporaneamente nell'attività accademica e nella conduzione di una ditta individuale». Tra le contestazioni figura anche una condanna per peculato a 2 anni di reclusione che non sarebbe stata comunicata all'Ateneo. Inoltre le indagini condotte dalla guardia di finanza hanno rilevato una intensa attività libero professionale in materia giuridica.
Nella sentenza di primo grado si ricordava più in generale che la norma «ha sancito definitivamente l'estensione a tutti i dipendenti pubblici del divieto di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza». Ora la Sezione terza giurisdizionale centrale d'appello ricorda che è nel potere-dovere dell'Amministrazione «conoscere le cause dell'incompatibilità e avviare, se del caso, il procedimento di decadenza dall'impiego».
Ciò presuppone «un comportamento collaborativo, corretto e di buona fede del dipendente»: comportamento «in specie del tutto mancato, per avere il prof. Luisi (come emergente dai fatti) serbato un consapevole silenzio sull'esercizio di attività libero professionali, mai comunicate e mai autorizzate, sì da potersi ritenere che lo stesso abbia consapevolmente omesso di informare l'Ateneo di appartenenza circa la natura e la tipologia di prestazioni rese in favore di soggetti terzi».
Il docente è stato prosciolto dall'addebito risarcitorio di 103.369 euro per il differenziale retributivo fra il tempo pieno (incompatibile con il contemporaneo svolgimento di attività libero-professionale) e il tempo definito (compatibile invece con l'attività di avvocato).
Per l'Appello «non appare provato che l'attività incompatibile svolta abbia pregiudicato, in termini di minore resa, l'attività didattica e quella assistenziale verso gli studenti».