Il papà di Sander Cerri morto in un cantiere a Trento: «Chiediamo soltanto giustizia per nostro figlio»
Sono passati più di due anni da quando l'operaio albanese di soli 39 anni rimase schiacciato da una parete che stava demolendo in Corso Buonarroti: «Vogliamo sapere cos'è successo quel maledetto giorno e se davvero ci sia stato un ritardo nel chiamare i soccorsi», dice il papà, mentre non si è ancora conclusa la vicenda giudiziaria
LA TRAGEDIA Sander Cerri, di origini albanesi, viveva in Rotaliana
SINDACATI Le vittime del lavoro in Trentino già il doppio del 2023
TRENTO. «Chiediamo soltanto giustizia per nostro figlio. Vogliamo sapere cos'è successo quel maledetto giorno e se davvero ci sia stato un ritardo nel chiamare i soccorsi. Mi chiedo se sarebbe stato possibile salvargli la vita». Sono passati più di due anni da quel 15 aprile 2022, quando Sander Cerri perse la vita a soli 39 anni schiacciato da una parete che stava demolendo in un cantiere in Corso Buonarroti. Da quel momento il papà della vittima, il 64enne Frane Cerri, non ha mai smesso di cercare delle risposte.
Non c'è pace per lui che ancora oggi, nell'ufficio dei suoi avvocati, Irisa Kulja e Gianfranco de Bertolini, non riesce a trattenere le lacrime.
«Ero in Albania quando mi hanno chiamato dopo l'incidente - ricorda l'uomo con voce rotta - Ho preso subito l'aereo e sono arrivato qui non appena ho potuto. La vita di sua moglie e di sua figlia, che aveva solo 4 anni, è distrutta: lo avrebbero dovuto raggiungere in Trentino il mese successivo per il ricongiungimento. Mia moglie vive un incubo. Per noi è stata una perdita immensa sia a livello di salute che di danni psicologici. Nessuno potrà ridarmi mio figlio. Era il nostro punto di riferimento, abbiamo perso il nostro pilastro. Eppure non abbiamo mai ricevuto nemmeno le scuse».
Il dramma umano si va ad intrecciare a quello della vicenda giudiziaria. L'operaio, che lavorava da 10 anni come stagionale in Italia, al tempo era impiegato per una ditta di Mezzolombardo, la Leg Costruzioni. Due dei suoi rappresentanti sono finiti davanti al giudice dell'udienza preliminare accusati di omicidio colposo. Se il titolare dell'azienda, rappresentato dall'avvocato Massimo Amadori ha patteggiato un anno, pena sospesa, per il coordinatore della sicurezza, difeso da Monica Baggia, gli atti sono stati rimandati al pubblico ministero per riformulare il capo d'imputazione con la modifica alla sua qualifica.
I familiari, che non si sono costituti parte civile, nel frattempo hanno ricevuto un risarcimento con un acconto a titolo risarcitorio pari a 200mila euro. Ma la causa potrebbe proseguire in sede civile.
A detta dei legali della famiglia Cerri, rimangono tanti i punti senza una risposta, come emerge dalla memoria difensiva per le parti civili elaborata sulla base della relazione del dottor Claudio Ramponi, primario del pronto soccorso dell'ospedale Santa Chiara di Trento all'epoca in cui fu ricoverata la vittima e di un consulente di parte, l'ingegner Claudio Compagni.
Il primo punto interrogativo dei familiari viene posto sulle testimonianze raccolte, non solo «insufficienti per consentire una ricostruzione oggettiva dell'infortunio» ma anche «incoerenti». Secondo le ricostruzioni dei legali, si legge nel documento, sul cantiere quella mattina «si trovavano tre operai, non due». Uno dei lavoratori «occupato irregolarmente e del quale non è stato possibile fino ad oggi sapere il nome, che si allontanò prima dell'arrivo dei soccorsi».
Le parti civili sostengono inoltre che «l'operaio fu travolto qualche minuto prima delle 9 del mattino e che i soccorritori chiamati alle 9.44 intervennero sul ferito, ormai in condizioni disperate».
Nella stessa relazione redatta dal dottor Ramponi, incaricato dalle parti civili, si legge: «Non essendo stata fatta una autopsia non è possibile definire la causa esatta del decesso». Tuttavia prosegue: «La documentazione in essere su questo aspetto è lacunosa se non addirittura contraddittoria. Se ipotizziamo che l'evento traumatico sia avvenuto attorno alle 9 (minuto in più minuto in meno) allora c'è stato un grave ritardo nella chiamata dei soccorsi sanitari (avvenuti alle 9.44-9:47 come risulta dal verbale del 118) e quindi una drastica riduzione delle chances di sopravvivenza del povero Sanders».
Ragionamento che, sottolinea lo stesso medico, «non ha valore se l'evento è avvenuto attorno alle 9:40».
Il reato ipotizzato dalle parti civili è anche quello dell'omissione di soccorso. «È doveroso accertare chi fu presente all'infortunio, cosa fu fatto al cospetto di un ferito in condizioni tanto gravi. Se emergerà che adempimenti corretti, come la semplice immediata chiamata del servizio d'emergenza, avrebbero dato a Sander Cerri possibilità di salvezza, all'accusa di omissione dovrebbero aggiungersi quella di concorso nell'omicidio».
Come viene messo nero su bianco nel documento depositato da de Bertolini e Kuljia: «La morte di Cerri sarebbe stata prevenuta ed evitata, se nel cantiere fossero state adottate le misure di sicurezza stabilite dalla legge». Oltre al fatto che, secondo la relazione redatta dall'ingegner Compagni «Cerri non aveva ricevuto alcuna formazione» e la demolizione «fu condotta senza particolari cautele né ordine», accusano i legali. I quali ora, in via istruttoria, chiedono la nomina di uno o più periti tecnici edili e della sicurezza per ricostruire la dinamica nel dettaglio.